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Ripensiamo gli allevamenti intensivi

In questi giorni di forzata inattività causa Coronavirus abbiamo una grande opportunità: il tempo di ripensare al mondo di domani, rivisitare il nostro modello di sviluppo, i nostri comportamenti rispetto all’ambiente, perché, come ci sentiamo dire da più parti, il domani non sarà uguale e anche i modelli economici non potranno essere più gli stessi.

Le persone hanno sperimentato che tutto è connesso, fondamento peraltro dell’ecologia (condizione richiamata anche dall’enciclica papale Laudato si’). Il degrado ambientale e la riduzione degli spazi naturali, l’emergenza climatica, gli allevamenti industriali,… aumentano la probabilità e frequenza di epidemie e pandemie. Perché la salute è connessa alla salubrità ambientale e al corretto funzionamento dei cicli ambientali, in altre parole la salute della terra e quella delle persone sono inestricabilmente collegate.

Ci allarmiamo per i 20 gradi a febbraio, per la crisi climatica, per i continui sforamenti della qualità dell’aria, per le foreste disboscate, per il pianeta in fiamme, per lo scioglimento del permafrost, in altre parole per il nostro futuro, perché come ci dicono i Fridays for Future non c’è più tempo! Anche gli allevamenti industriali costituiscono una delle minacce maggiori per l’ambiente: il loro inquinamento è tra i più impattanti sul clima. Già oggi gli allevamenti intensivi occupano milioni di ettari di terreno per gli spazi destinati ai capannoni ma soprattutto per le coltivazioni di cereali e soia impiegate per alimentare gli animali.

È per questo che Legambiente Pordenone appoggia la raccolta firme, al link: http://chng.it/TF8BFg74, del Comitato ambiente e coscienze pulite che si è costituito tra Chions, Fiume Veneto e S.Vito al Tagliamento per contrastare l’ennesima proposta di insediamento di un allevamento di polli che si aggiunge ad una forte concentrazione di allevamenti intensivi esistenti.

C’è un legame tra il nostro modello di sviluppo e l’insorgenza di un’emergenza sanitaria come quella rappresentata dal Coronavirus? La risposta è positiva, come ci spiegano i ricercatori coordinati dell’Università La Sapienza, che mettono in relazione il fenomeno della diffusione delle malattie infettive con l’azione dell’uomo sulla natura. Come altre epidemie causate da virus passati dagli animali all’uomo (Hiv, Ebola, H5N1, H1N1, Sars, Mers), anche il Coronavirus è associato ai livelli insostenibili di caccia e di traffico di animali selvatici, alla perdita di habitat naturali (soprattutto foreste), agli allevamenti intensivi.

Il ricorso sistematico ai farmaci negli allevamenti può inoltre condurre alla creazione di ceppi batterici resistenti, potenzialmente nocivi non solo agli animali ma anche all’uomo. Basti ricordare che agli animali allevati somministriamo il 71% degli antibiotici venduti in Italia e che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’antibiotico-resistenza “sarà una delle maggiori minacce per la salute globale”.

È quindi necessario eliminare le condizioni che trasformano gli allevamenti intensivi in bombe biologiche a orologia, diceva così Legambiente oltre dieci anni fa, affermando che bisogna ottenere una carne che non sia solo buona per chi la mangia, ma anche per l’ambiente. Occorre favorire con decisione la riconversione degli allevamenti intensivi verso progetti che riducano significativamente le densità degli animali per superficie e rispettino il benessere animale, comprese le esigenze etologico/ambientali delle diverse specie allevate.

In altre parole dobbiamo promuovere e sostenere modelli economici che valorizzino i territori, le relazioni di comunità, le filiere controllate, la qualità alimentare, quella certificata e biologica  e il benessere degli animali, per essere certi di alimentarsi con prodotti sani e di qualità, in armonia con la natura.

Ricordati di firmare la petizione! https://www.change.org/p/tutti-i-cittadini-no-ad-un-ulteriore-allevamento-avicolo-industriale

Renato Marcon – Presidente Legambiente Pordenone

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