Carovana delle Alpi 2013: assegnate le Bandiere
{tab=LA CAMPAGNA}
Assegnate 11 bandiere nere ai nemici della montagna e 7 bandiere verdi a chi la valorizza con pratiche ecosostenibili
Sono un paradiso di bellezza e di biodiversità, un patrimonio da difendere e valorizzare. Sono le Alpi, un gioiello unico troppo spesso oggetto di una cattiva gestione del territorio e di abusi edilizi. A denunciare ciò è Legambiente che dal 2002 con la Carovana delle Alpi attraversa tutto l’arco alpino per effettuare un “check up” sullo stato di salute dell’ambiente assegnando le bandiere nere e quelle verdi. Quest’anno sono undici le bandiere nere che l’associazione ambientalista dà ai nemici della montagna, per i danni causati al territorio da amministrazioni e società.
Delle 11 bandiere nere, 3 sono state assegnate rispettivamente in Friuli Venezia Giulia e in Lombardia, 2 in Piemonte, una rispettivamente in Veneto, Trentino e Valle D’Aosta. Undici storie di “pirati” delle Alpi che hanno in comune una visione distorta della valorizzazione turistica del territorio, favorendo così una selvaggia speculazione. Non mancano però le buone pratiche ecosostenibili e le idee positive per uno sviluppo locale green, come testimoniano le sette le bandiere verdi date, invece, a chi ha saputo valorizzare l’arco alpino. In prima linea ci sono le esperienze modello di alcune amministrazioni comunali, di aziende agricole, stabilimenti, associazioni e comitati del Friuli Venezia Giulia (2 bandiere verdi), Veneto (1), Trentino (1), Lombardia (1), Piemonte (1) e Valle d’Aosta (1) che puntato, ad esempio, sulla reinterpretazione e scoperta della tradizione agricola e a soluzioni ecocompatibili per la valorizzazione del patrimonio forestale locale.
“La fotografia scattata dalla Carovana delle Alpi 2013 – dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – dimostra che c’è ancora molto da fare per la tutela e la valorizzazione delle Alpi. Serve infatti una maggiore difesa e valorizzazione di questo splendido territorio, ricco di storia, di risorse naturali e culturali. Investire sull’ambiente alpino significa dare impulso all’economia locale, creare occupazione e creare le condizioni per migliorare la possibilità di “abitare” la montagna. Questi risultati passano anche attraverso la possibilità di far conoscere la bellezza di questi luoghi grazie anche ad un turismo ecosostenibile. Le località montane racchiudono in sé un grande potenziale in termini di risorse naturali ed economiche che le amministrazioni locali, quasi sempre prime destinatarie delle Bandiere Nere, devono interpretare e usare al meglio attraverso uno sviluppo basato sulla green economy e attuando appropriate politiche di gestione del territorio più sostenibili. Troppo spesso ci siamo dimenticati che la qualità e la sicurezza della pianura dipendono dall’uso che si fa dei territori montani, è in questo senso che le Alpi sono un bene comune di tutti”.
{tab=LE BANDIERE VERDI}
a “Tiere Viere-AgriKulturAlpina”, azienda agricola di Dordolla (Moggio Udinese)
Motivazioni:
Per aver reinterpretato, rinnovandola, la tradizione contadina in una delle aree più spopolate della montagna friulana
Descrizione:
Quante volte gli ambientalisti o i semplici appassionati di montagna si sono sentiti replicare da chi a certe altitudini vive tutto l’anno, conoscendone ed affrontandone quotidianamente le difficoltà, che è troppo facile esprimere delle critiche o delle riserve quando la propria frequentazione delle Alpi si esaurisce nel breve spazio di una gita o di una vacanza, continuando per il resto a godere dei vantaggi e delle opportunità che offre la città. Ecco, quello che Kaspar, proveniente dall’Austria, laureato in scienze agrarie e sua moglie Marina, originaria di Dordolla, piccola frazione di Moggio Udinese, un passato in una delle più note emittenti radiofoniche regionali, hanno realizzato con i loro tre piccoli figli è, in qualche modo, anche una risposta a questo tipo di obiezioni.
La loro scommessa è stata quella di tornare a fare agricoltura in montagna, con due asinelle, un piccolo gregge di pecore plezzane (una razza quasi in via di estinzione), qualche famiglia di api e seminando patate, orticoli e varietà locali di fagioli e di mais, coltivati in piccoli campicelli secondo i metodi dell’agricoltura biologica.
Lo hanno fatto in una delle vallate più spopolate della nostra montagna, quella da cui proviene la famiglia di Marina, nel territorio di Moggio Udinese, un Comune che negli ultimi sessant’anni ha visto più che dimezzato il numero dei suoi residenti. È stato soprattutto nel decennio tra il 1961 e il 1971 che Moggio ha perso un quarto dei suoi abitanti, vedendo trasformarsi i borghi più isolati in veri e propri “paesi fantasma”. La dura fatica dell’esistenza quotidiana e la possibilità di ottenere migliori opportunità all’estero o in pianura avevano portato all’abbandono della terra, con il risultato di accelerare anche i fenomeni di dissesto idrogeologico legati al già fragile equilibrio del territorio.
Il progetto “Tiere Viere” (vecchia terra) è un tentativo di ridare vita, anche sotto il profilo culturale, ai paesi in cui erano rimasti ormai solo pochi anziani, dando continuità alla tradizione contadina, ma rinnovandola e adattandola ai nuovi tempi. All’attività agrituristica familiare, che ha portato al recupero di alcuni edifici, utilizzando materiali e competenze locali e criteri eco-sostenibili, Kaspar affianca quella di guida naturalistica, accompagnando nelle varie stagioni i visitatori del Parco Regionale delle Prealpi Giulie e della Riserva Naturale della Val Alba.
Marina e Kaspar propongono i loro prodotti e la loro ospitalità a tutti coloro che vogliono imparare ad ascoltare cosa racconta il paesaggio, quello scenario irrepetibile creato dall’insieme di clima, orografia, geologia, flora e fauna, donne e uomini; quel paesaggio montano che, con il loro lavoro, contribuiscono a mantenere vivo.
a Legnolandia, stabilimenti di Forni di Sopra e Villa Santina
Motivazioni:
Per le soluzioni e gli accorgimenti adottati nei processi di produzione e per la valorizzazione del patrimonio forestale locale
Descrizione:
L’azienda affonda le sue radici su esperienze che risalgono al lontano 1830, nell’area delle Dolomiti Friulane. È una delle più antiche della regione: è iscritta, infatti, nell’elenco delle attività storiche con più di 150 anni di vita, voluto dal Presidente della Repubblica per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Da circa un trentennio ha assunto l’attuale configurazione, specializzandosi nella produzione di case in legno, giochi per parchi, strutture per arredo urbano e giardino, che escono dai due stabilimenti di Forni di Sopra e Villa Santina e vengono distribuiti, attraverso la propria rete di vendita, in Italia e nell’Europa meridionale.
L’esperienza centenaria e le nuove tecnologie hanno maturato prodotti originali ed innovativi, tutti rigorosamente legati al rispetto ambientale. Oltre a varie certificazioni da tempo acquisite (Sistema di Qualità ISO-EN 9001, Gestione Ambientale ISO-EN 14001, Product Service TÜV SÜD, Legname marchiato PEFC e FSC), Legnolandia fa uso quasi esclusivo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (idroelettrico a Forni di Sopra e fotovoltaico a Villa Santina) e ha effettuato investimenti volti all’innovazione e alla sostenibilità ambientale. Tutti i cascami del bosco e gli scarti di lavorazione alimentano una centrale a biomasse per l’essicazione del legno ed il riscaldamento degli ambienti di lavoro. I macchinari sono pilotati da sistemi “inverter” che permettono di fare uso solo dell’energia necessaria al momento dell’utilizzo, riducendola notevolmente nei momenti di riposizionamento e di pausa. Da un anno nello stabilimento di Forni di Sopra (in ambiente sensibile di alta montagna) sono state sostituite le lampade ad incandescenza con quelle a LED, ottenendo un notevole abbattimento dei consumi per l’illuminazione dello stabilimento.
Da quasi un decennio l’azienda non fa più uso di legname delle specie esotiche che contribuiscono alla deforestazione della Foresta Tropicale e impiega prevalentemente legname locale a “chilometro 0” con l’obiettivo di trarre dalle risorse della montagna opportunità di lavoro ed occupazione, evitando l’onere ecologico dei lunghi trasporti di materiale da luoghi lontani.
Negli ultimi anni, in particolare, va segnalato l’orientamento a fare uso di alcune specie legnose poco sfruttate e molto presenti nei boschi della Carnia, dalle quali si ricavano molti dei manufatti prodotti. Tra le essenze che Legnolandia si è impegnata a valorizzare c’è quella dell’abete bianco, di cui ha fatto, date le sue caratteristiche, l’elemento principe per la costruzione delle case prefabbricate e delle strutture per esterno. L’abete bianco o “albero della luce”, è la pianta più alta in assoluto tra le conifere e ha il potere di donare, secondo una leggenda celtica, serenità, forza e salute a chi ci vive vicino.
{tab=LE BANDIERE NERE}
a Edipower
Motivazioni:
Per la colata di fango verificatasi a valle della diga di Sauris
Descrizione:
Il prossimo 9 ottobre saranno trascorsi cinquant’anni esatti dal disastro del Vajont, una tragedia “annunciata” che ha segnato indelebilmente due valli del Veneto e del Friuli e, insieme, ha scosso la storia e la coscienza civile del nostro Paese.
Quello che è accaduto lo scorso inverno in Carnia non è certo neppure lontanamente paragonabile a quell’evento, ma dimostra ancora una volta come anche chi ha ereditato dalla SADE una parte dei suoi impianti idroelettrici continui, oggi, a mettere i propri interessi economici davanti ad ogni logica, mancando di qualsiasi rispetto per l’ambiente e per le popolazioni locali.
I fatti. All’inizio di febbraio circa 56.000 m³ di limo e detrito fine vengono scaricati dal Lago artificiale di Sauris negli alvei del torrente Lumiei e del fiume Tagliamento. La “marea scura” si spinge fino oltre il paese di Invillino, situato una ventina di chilometri più a valle. Lo svasamento, periodicamente previsto per consentire la funzionalità idroelettrica ed idraulica della diga, è stato effettuato con potenti immissioni di acqua nelle gallerie di scarico e si è svolto, per ragioni esclusive di tornaconto dell’azienda, in soli 20 giorni invece dei 60 previsti dall’autorizzazione regionale. Nei primi giorni successivi all’avvio delle operazioni si arrivano a misurare valori di concentrazione di solidi sospesi pari a 57 g/l, di fronte ad una previsione media di 5-7 g/l di fanghi, indicata da Edipower quale valore di riferimento nel piano operativo di progetto.
In questo modo, operando senza alcun criterio selettivo e senza nessuna cautela ambientale, si è arrecato un grave danno per l’ittiofauna (con la morte di migliaia di trote e altri pesci), per la fauna bentonica e per ogni forma di vita animale (anfibi, crostacei, micro e mesofauna ittica, insetti acquatici, ecc…). Si può, quindi, parlare di un “disastro” che avrà conseguenze per alcuni anni e che è stato alla base di una denuncia presentata alla Procura della Repubblica del Tribunale di Tolmezzo.
Dopo aver visto il letto dei propri fiumi ridotto a desolata pietraia in seguito alle opere di captazione avviate dalla SADE negli anni Quaranta e Cinquanta, la popolazione della valle del Tagliamento ha dovuto assistere adesso ad un nuovo oltraggio: lo scorrere sotto i ponti di una melma, densa e scura, che non rappresenta certo un segno di vita, tutt’altro.
Agli organizzatori regionali del Giro d’Italia
Motivazioni:
Per l’abbattimento di centinaia di alberi sull’Altopiano del Montasio
Descrizione:
Sono molte, anzi moltissime, in particolare in Carnia e in Friuli, le persone convinte che l’arrivo di una tappa di montagna del Giro d’Italia crei un grande indotto turistico, non solo per l’affluenza momentanea di migliaia di spettatori e appassionati, ma soprattutto per la pubblicità che deriva dalle riprese televisive dell’evento, riprese, diffuse in mondovisione, che hanno reso “famose” località fino a ieri sconosciute come lo Zoncolan, il Monte Crostis, etc…
Quest’anno è toccato al Montasio, l’altopiano ai piedi della più bella e alta cima delle Alpi Giulie italiane, ma, oltre ai fiumi di inchiostro spesi dal più diffuso quotidiano locale e ai rifiuti abbandonati dalla parte meno civile degli spettatori, il Giro d’Italia ha portato questa volta anche uno sfregio permanente all’ambiente e al paesaggio. A chi frequentava in passato la zona i luoghi appaiono oggi irriconoscibili. Una fascia che va dai cinque agli otto metri, da ambo i lati della strada (ma singole piante di alto fusto sono state tagliate anche a distanze superiori) è stata completamente disboscata. I sei chilometri che da Sella Nevea salgono al parcheggio nei pressi delle malghe sembrano aver subito l’effetto di un tornado: un itinerario ameno, una strada immersa nel bosco, al riparo dalle calure estive, non c’è più.
Il costo di mezz’ora di riprese televisive è un danno che resterà per anni, per decine d’anni! Sì, perché quanto è avvenuto appare motivato non certo con la necessità di ricavare maggiore visibilità o spazio per il pubblico (che avrebbe dovuto essere almeno dieci o dodici volte superiore a quello realmente affluito), ma con l’esigenza di poter effettuare le riprese della corsa dall’elicottero. Riprese che “schiacciano” dall’alto le biciclette sull’asfalto e sono certo meno interessanti di quelle effettuate dalle motociclette. L’esigenza di sfrondare le piante per garantire la vista sulla strada non ha niente a che fare, dunque, con la possibilità di realizzare belle inquadrature dall’alto, dedicate al paesaggio e utili per far conoscere un territorio, come quelle a cui ci ha abituato la televisione francese in occasione del Tour.
Il risultato ottenuto sulla strada che conduce all’altopiano del Montasio è paragonabile, in termini di piante abbattute, a quello che tanto scandalo provocò qualche anno fa per la costruzione di una discarica nella pineta di Caneva di Tolmezzo (opera che fu poi annullata dal TAR) ed è del tutto simile, in termini di impatto visivo, a quello, tanto temuto in montagna, prodotto dal passaggio di un grande elettrodotto aereo. La differenza è che in questo caso tutto è stato fatto immediatamente a ridosso di un Sito di Interesse Comunitario, senza nessuna informazione preventiva o discussione, né valutazione dell’impatto che l’intervento avrebbe provocato.
“Giro+Friuli+Montasio=Spettacolo unico!” recitava uno slogan impresso dai tifosi lungo la salita: di “unici” però ci sembrano solo la gratuità e la violenza dell’abbattimento delle piante, un “effetto collaterale” di cui avremmo voluto volentieri fare a meno. Davvero un’inutile strage!
a ANAS e Friuli Venezia Giulia-Strade
Motivazioni:
Per gli interventi attuati sulla viabilità della Carnia e del Canal del Ferro
Descrizione:
La viabilità montana richiede indubbiamente una particolare attenzione, sia con necessari interventi di ristrutturazione e ammodernamento, sia con una costante opera di manutenzione, tanto più indispensabile in presenza di versanti poco stabili. In un periodo di forti difficoltà economiche, che condizionano le risorse a disposizione dei bilanci pubblici, l’operato dell’ANAS e di FVG Strade è apparso, però, in più di qualche caso difficilmente comprensibile e giustificabile.
A lasciare perplessi, per usare un eufemismo, non sono solo alcuni interventi “minori”, come lo sbancamento lungo un breve tratto della strada regionale 512, nei pressi di Cavazzo Carnico, che ha fatto quasi pensare all’imminente apertura di una inutile “terza corsia” ma, soprattutto, alcune opere da poco inaugurate e costate decine e decine di milioni di euro. Ci riferiamo, in particolare, alla vicenda della Galleria di Chiusaforte, sulla S.S. 13 e alla Variante di Socchieve, lungo la S.S. 52.
Nel primo caso, in alternativa ad interventi meno costosi, si è inspiegabilmente preferito “bucare” un chilometro di montagna per by-passare, in quanto ritenuto pericoloso, un tratto di strada storicamente utilizzato – quello che passa accanto ai resti dell’antica “Chiusa”, dove nell’antichità si era costretti a pagare un pedaggio – lungo il quale hanno continuato tranquillamente a sfrecciare fino all’altro giorno TIR, pullman e automobili diretti o provenienti dall’Austria. Nell’altro si è realizzato un intervento per molti aspetti decisamente sovradimensionato rispetto alle esigenze del traffico, i cui costi finali, date anche le problematiche geologiche incontrate e le soluzioni tecniche introdotte, andranno attentamente analizzati. Nuovi ponti, sovrappassi e svincoli hanno trasformato la valle in strada, con un pesante impatto sull’ambiente ed il paesaggio, reso possibile dalla decisione presa a suo tempo dalla Regione di non ritenere necessario sottoporre il progetto alla procedura di VIA.
La critica è quindi rivolta a scelte e soluzioni che, probabilmente, sarebbero state diverse o sarebbero state scartate in quanto ritenute non prioritarie, se solo si fosse operata una appena attenta valutazione dei costi e dei benefici.
Dal punto di vista della nuda statistica si tratta di finanziamenti – nel solo caso degli interventi sulla S.S. 13 parliamo di iniziali 49 milioni e mezzo di euro, poi lievitati a quasi 63 milioni e mezzo – nominalmente assegnati allo sviluppo della montagna. In realtà sono risorse sottratte ai servizi, ad iniziative capaci di produrre maggiore occupazione o all’esecuzione di altri lavori e ad interventi di manutenzione del territorio, che probabilmente rimpiangeremo di non aver effettuato alla prossima alluvione.
{/tabs}