Sbarramento sulla stretta di Pinzano? Non si devono svilire i territori
Il fatto che si stia avviando il completamento delle opere sugli argini in sponda veneta, da sempre punto debole per il transito delle onde di piena, è una buona notizia poiché il completamento di tali opere renderà efficace il complesso degli interventi programmati, ed in parte già realizzati, nel tratto terminale del fiume. In pratica si tratta della nuova destinazione di risorse avviatasi a seguito dei lavori del Laboratorio Tagliamento di 8 anni fa.
Meno bene il fatto che la Regione FVG, riferendosi alla natura del finanziamento che prevede anche interventi di mitigazione e contenimento delle piene nel tratto medio del fiume, lasci pensare o addirittura suggerisca che la soluzione è già stata individuata e riguardi la stretta di Pinzano.
Potremo anche trattarsi di una lettura sopra le righe di un annuncio di avvio di opere cantierabili, ma il fatto che in mezzo si citi ancora lo sbarramento di Pinzano tentando di rimodulare conoscenze ed apporti scientifici e culturali costruiti in decenni di studi, approfondimenti e dibattiti, lascia allibiti. E questo è particolarmente strano se si pensa che tale soluzione trova sempre meno giustificazioni e sostenitori tanto che oramai molti sono convinti che, anche solo con le opere previste nel basso corso di cui oggi apprendiamo il prossimo completamento, la piena del 1966 transiterebbe comodamente per Latisana.
A meno che non si alzi a dismisura il livello del rischio cui far fronte, la traversa nella stretta di Pinzano è un’opera semplicemente improponibile e tornarci sopra sarebbe, quella sì, una sciagura perché rappresenterebbe la negazione di una seria politica del territorio, politica che richiede la valutazione di tutte le dinamiche messe in atto dal sistema fiume in modo da garantire l’equilibrio delle interazioni tra tutti i fattori che lo compongono ivi compresi quello sociale, economico ed ambientale. Con il recepimento della Direttiva 2007/60/CE, la valutazione del rischio di alluvioni è una valutazione multidisciplinare che deve trovare uniforme applicazione su tutto il territorio del bacino ad ogni livello di grandezza.
È un approccio metodologico che lascia poco spazio a preconcetti e calcoli di comodo, che si fonda sull’acquisizione di conoscenze attraverso il confronto e indica di privilegiare il ripristino delle condizioni naturali del fiume attraverso piccoli interventi puntuali piuttosto che grandi opere che spesso neanche intaccano il problema. Queste convinzioni sono ormai entrate pienamente nella coscienza delle persone e non possono essere tenute in così poca considerazione come è da irresponsabili non incoraggiarne una applicazione pratica.
Il Tagliamento è un bene collettivo di altissimo valore e in quanto tale deve essere tenuto in alta considerazione. Sarebbe ora il momento di perseguire l’obiettivo di pensare ad un ripristino dei tratti fortemente antropizzati di questo fiume e non di aggiungere nuove opere o interventi in grado di limitarne la naturalezza ed esporlo ad ulteriore deterioramento. Su questa annosa questione Legambiente continuerà ad operare perché un cambio culturale in tal senso avvenga e che il fiume, più che un mostro da imbrigliare, sia considerato come una opportunità per mettere in atto politiche coerenti e lungimiranti senza creare rivalità tra i territori o insinuare continuamente allarmismi ed emergenze che sappiamo bene a cosa sono finalizzati e a quali risultati portano.