“Capitozzare” equivale ad abbattere gli alberi!
LEGAMBIENTE interviene nel merito dalle polemiche (salutari) sollevate in questi giorni a proposito di schianti di alberi e delle brutali riduzioni di chiome, preoccupata nell’assistere al progressivo diffondersi di cattive gestioni del verde urbano in moltissime città e paesi.
Citiamo solo i due casi balzati alle recenti cronache. A Udine un temporale schianta anche un grande ippocastano che mette in mostra un apparato radicale quasi inesistente a causa dalle ripetute capitozzature.
A Gorizia intere alberate dei viali sono state orribilmente capitozzate. Quando la sensibilità di molti cittadini è toccata fino a presentare dimostranze, come risposta essi ottengono giustificazioni non pertinenti. Come un mantra si ripete che le capitozzature (taglio di branche a distanza dal colletto con eliminazione della “gemma apicale” “tiralinfa”) sono obbligate per metter in sicurezza gli alberi da possibili schianti che possono causare danno a cose e persone le cui conseguenze civili e penali ricadrebbero anche sugli amministratori.
Legambiente invece da tempo ripete che il problema è la scarsa professionalità. Progettazioni errate (essenze troppo grandi per il luogo d’impianto o prive del loro spazio vitale). Capitozzature (favorite dalla disponibilità di moderne motoseghe e dalla velocità di esecuzione dei lavori). Approccio superficiale (nel non considerare le piante nella loro integrità trascurando in particolare dell’apparato radici). Ecc.
In particolare le capitozzature stressano le piante. Ne alterano lo sviluppo naturale deturpando il paesaggio urbano. Ne fanno perdere le numerose funzioni degli alberi in città. Le piante sono costrette a emettere numerosi polloni, dritti verso l’alto (“a coda di leone”) alla disperata ricerca di compensare le fronde asportate. Diventate vulnerabili si ammalano fino ad anticipare la morte. Quando i ricacci si appesantiscono, non crescendo ben aderenti al fusto, facilmente schiantano. Allora si crea il pericolo e da qui la richiesta di frequenti manutenzioni di messa in sicurezza, giungendo in estremo alla loro sostituzione. Va considerato che queste attività poco professionali e artificiose comportano costi, altrimenti evitabili, che ricadono sui contribuenti. Legambiente non intende fomentare sterili polemiche né con gli Amministratori pubblici, né con i professionisti, ma invita ad affrontare la questione con serena obbiettività, cogliendo dalla letteratura di settore consolidata le corrette pratiche sostituire le capitozzature con le appropriate “potature di ritorno”.
Propone quindi di non ripetere gli errori evitando le conseguenti ingenti spese non giustificabili, ma si sottopone dunque all’attenzione un recente esempio positivo, che dovrebbe fare scuola, che viene del Comune di Frosinone il quale ha fatto rispettare il regolamento comunale. Il caso riguarda il “capitozzato” di otto alberi di alto fusto (Cedrus spp.) nei terreni della locale ASL. Il Comune ha comminato una sanzione amministrativa di 1300 Euro più le spese di abbattimento all’amministratore unico (trasgressore) della cooperativa che ha eseguito i lavori e all’ASL appaltante (responsabile in solido) perché hanno violato l’art. 21 del “Regolamento comunale del verde pubblico e privato” (approvato al fine dichiarato dell’attuazione della L.10/2013) il quale equipara la “capitozzatura” all’abbattimento (come del resto recita la letteratura).
Il “Comitato dello sviluppo del verde pubblico” (organo istituzionale competente dell’attuazione della L. 10/2013 sugli spazi verdi urbani, istituito presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare) oltre a affermare che tutti i comuni devono dotarsi del Regolamento di attuazione di detta legge e che tale regolamento è valido per il verde pubblico e per quello privato, in particolare ha confermato i provvedimenti del Comune riconoscendo che l’intervento eseguito è “capitozzatura” <<comportante l’incapacità di ricostruire significativamente fusto e chioma>>. L’intervento quindi <<non può essere considerato di “manutenzione”, ma equivalente all’ “abbattimento”>>. Inoltre, il Comitato ha rinviato gli atti, per competenza, alla Procura regionale della Corte dei Conti in quanto, per la perdita del bene arboreo, intravvede violazioni per cagionato danno erariale. Senza contare che il caso potrebbe contemplare anche il reato di procurato danno ambientale.