Basta progetti autostradali e centraline nei territori montani
Ancora l’autostrada Cimpello Gemona. Da poco è stata rimessa in parziale e faticosa funzione l’infrastruttura ferroviaria Sacile-Gemona frutto di un impegno profuso da parte dalle istituzioni regionale e locali, da RFI e dal mondo associativo, che si ritorna a parlare dell’autostrada. La tesi di Confindustria di Pordenone vuole creare una correlazione tra collegamento autostradale e lo sviluppo economico regionale. Un vecchio ritornello.
Tale ragionamento non sta in piedi per uno svariato numero di ragioni che sono di natura economica, finanziarie oltre che di conservazione della salute ambientale e sociale dei territori. L’economia si sviluppa attraverso aspetti che esulano fortemente dalla presenza o meno di un’asse autostradale. Rispondere alle sollecitazioni dei mercati e dalle dinamiche competitive, oggi più che mai, non significa fare autostrade ma mettere in campo le risorse umane, tecnologiche e finanziarie che permettano interpretare gli scenari nelle varie dimensioni, di fare programmazione e di muoversi facendo leva su almeno sufficienti risorse tecnologiche e finanziarie. Avere davanti questi problemi e proporre un’autostrada quale soluzione appare una solenne presa in giro che lascia perplessi, anche perché sarebbe troppo semplice risolvere le problematiche legate al sistema economico e non solo in regione. La tesi immaginifica di Confindustria Pordenone tende a creare una correlazione tra collegamento autostradale e sviluppo economico che è completamente fuorviante poiché la crescita economica di un territorio passa attraverso le performances su ben altri caratteri strutturali delle imprese e del sistema economico finanziario e non su un supposto problema di viabilità locale che peraltro nemmeno esiste alla luce dei tempi di percorrenza riscontrabili in Friuli. L’abbiamo da tempo affermato che spesso si paventano carenze di infrastrutture viarie mentre non solo non vi è alcuna carenza, in regione, di percorribilità dei tracciati ma, ad un esame oggettivo, risulta esserci sovrabbondanza di offerta con strade semivuote da qualsiasi parte si giri lo sguardo. Assembramenti di camion si possono semmai trovare da Pordenone verso il Veneto dove esiste peraltro già l’arteria autostradale A28 che rappresenta un esempio lampante di infrastruttura che non dà risposte ai supposti problemi per i quali è stata costruita, vale a dire sollevare il traffico dalla SS13: bisognerebbe chiedersi il perché e, anche non si volesse guardare le cose come stanno, si potrebbe almeno non insistere sul tema perché le risorse economiche, che sappiamo non avere in abbondanza, non vanno in ogni caso buttate dalla finestra. E poi come mai, se è vero che un’autostrada è sinonimo di sviluppo, nei territori coinvolgibili dal tracciato c’è l’esilarante gara a scaricabarile per far passare il tracciato il più possibile lontano dal proprio territorio? Hanno tutti perso il senno? Certo che no! E allora? Viene il dubbio che, più degli impatti sul sistema economico, della costruzione di un’autostrada, stia a cuore la mera costruzione dell’opera con annessi e connessi, come si è già avuto modo di vedere in casi analoghi quando ci sono in gioco le cosiddette grandi opere pubbliche. Perché poi il problema, nel caso della costruzione di strade di questo genere, è anche un altro: chi paga? Gli esempi citati della Pedegronda lombarda e della Pedemontana veneta sono lì ad insegnarci che queste opere non solo non coprono i costi dell’ordinaria manutenzione con i pedaggi, sempre abbondantemente sovrastimati in fase progettuale, ma non ritornano neanche un’ombra dell’investimento fatto in termini di crescita dell’economia e miglioramento della competitività delle imprese, anzi. Le enormi passività generate vengono sistematicamente ripianate dallo stato, vale a dire dai cittadini e dalle imprese stesse i quali avrebbero invece bisogno di ben altro tipo di dinamiche fiscali.
Siamo in un certo modo d’accordo con Confindustria di Pordenone: non esiste che una forza politica seria al giorno d’oggi non abbia chiarezza su questi argomenti e che navighi a vista in campo economico contando su future congiunture favorevoli e non sulla qualità dei progetti e delle azioni che mette in atto.
L’orizzonte strategico del trasporto merci deve necessariamente correre sul ferro, su una intelligente intermodalità e sullo sviluppo economie di prossimità. Altro tema all’ ordine del giorno sono le “centraline nelle aree montane”. L’associazione ha trasmesso un appello ai comuni della Montagna regionale affinché aderiscono alla petizione per dire no al mini idroelettrico. Ma perché rinunciare a energia da fonti rinnovabili e provvidenze collegate? Risponde il Presidente dell’Associazione “Promuovere le fonti rinnovabili è un obiettivo imperativo per mantenere fede agli accordi di Parigi. Non tutte le azioni sono però virtuose, soprattutto se avvengono a scapito di risorse fondamentali per il corretto funzionamento degli ecosistemi, quali l’acqua. L’impatto risulta evidente anche agli “occhi meno attenti”, soprattutto nelle aree montane che peraltro risultano essere le più esposte e vulnerabili ai rapidi cambiamenti del clima.” La petizione già trasmessa ai Ministeri competenti e firmata da molti ed enti e associazioni presenti nelle Regioni Alpine propone di:
– abrogare gli incentivi al piccolo idroelettrico nei corsi d’acqua naturali sotto 1 MW,
– ridurre in modo consistente gli incentivi sotto i 3 MW,
– sostenere economicamente il revamping degli impianti esistenti per aumentarne la capacità produttiva senza incrementare le portate derivate,
– eliminare il concetto di pubblica utilità per gli impianti sotto i 3 MW e il contestuale inserimento dei Comuni nel processo autorizzativo, dando in tal modo pieno valore alle loro previsioni urbanistiche.
Legambiente è disponibile a confrontarsi su questi temi e dare il suo contributo per l’articolazione di politiche che mettano in risalto le diverse vocazioni presenti in Regione e per una gestione efficace e razionale delle risorse, senza il ricorso a falsi miti e soprattutto senza scatenare guerre tra territori.
L’associazione Legambiente FVG è disponibile a collaborare con i Comuni interessati.