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Il Punto sulla Ferriera. Un commento

Il Punto sulla Ferriera

Durante l’incontro pubblico del 27/03/2015 presso l’aula magna Baciocchi dell’Università di Trieste nelle relazioni e nel corso del dibattito sono emersi i  principali nodi della recente evoluzione nella vicenda Ferriera. Se da una parte è comparso sulla scena un imprenditore solido dall’altra l’obiettiva situazione ambientale e sanitaria non presenta ancora delle novità rispetto al quadro della gestione commissariale. Gli sforamenti del benzo[a]pirene conservano il ritmo precedente. Considerazioni che riguardano il PM10  come l’affermazione  da parte  del Gruppo Arvedi, che i dati delle centraline in centro città non differiscono di molto da quelli delle centraline dell’area ferriera  sono fuorvianti.  Il PM10 è un indicatore poco significativo perché la composizione del particolato può essere estremamente diversa, ricca di componenti pericolose come IPA e metalli pesanti  (Ferriera) oppure contenere un’elevata percentuale di sostanze inerti e quindi risultare meno dannosa per inalazione. Raffronti basati sulla misura del PM2,5 e ancora meglio del PM1 sarebbero eventualmente significativi.

La vicenda Ferriera è come un dramma teatrale.  Si sono susseguite rappresentazioni con scenari diversi. Il 14/03/2012 era stato stipulato un protocollo d’intesa (dopo gli altri due del 2003 e del 2009) che contemplava la riconversione dell’area industriale della Ferriera secondo un percorso di nuovi insediamenti produttivi ad alta concentrazione di manodopera e ad alto valore aggiunto che utilizzassero tecnologie innovative di processo e di prodotto secondo criteri di sostenibilità ambientale e di green economy. Del resto nella fase della campagna elettorale -che si è conclusa con l’elezione di Cosolini a sindaco-  il 24 maggio 2011 era stato presentato il Patto per Servola e Valmaura al fine di recuperare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e per un’opportunità di promozione di nuove attività per la tutela dei posti di lavoro con l’intento di lavorare con la massima urgenza per identificare la strada di conversione delle attività dell’area per  definire una strategia di riqualificazione industriale del territorio. Quindi decisamente qualcosa di alternativo all’attuale siderurgia.

Con l’arrivo di Arvedi il quadro è mutato: l’ Accordo di programma del 21 novembre 2014 determina i criteri per l’attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell’area della ferriera di Servola. L’Accordo di programma  all’art.7 elenca gli interventi necessari per il rinnovo dell’AIA e predetermina la possibilità di temporanee limitazioni dell’attività produttiva. Il sostegno alle aree di crisi industriale complessa prevede la continuazione dell’attività siderurgica, con gli impianti attuali, per almeno due anni al fine di accedere ai finanziamenti dei fondi europei che transitano attraverso la Regione e il Mise, e ai soldi della soluzione anticipata del CIP6.

Gli attori di questa lunga e contraddittoria rappresentazione sono stati nel tempo gli imprenditori Lucchini nella fase della crisi più acuta, gestita poi dal commissario Nardi e adesso Arvedi. Chi fa impresa non è normalmente un benefattore, cura i propri interessi e mira al profitto, è il secondo attore, la Pubblica amministrazione a tutti i livelli (i più alti non hanno dato un gran prova di curare gli interessi pubblici tutt’altro), che avrebbe dovuto imporre all’impresa il rispetto delle leggi, concedere l’Autorizzazione integrata ambientale solo a precise condizioni, fissare prescrizioni precise e intervenire immediatamente quando queste non venivano rispettate. Il terzo attore, l’Azienda sanitaria, ha svolto un ruolo positivo in una prima fase, poi la richiesta di svolgere un’indagine epidemiologica significativa sia sugli abitanti che sui lavoratori non ha avuto una risposta utile a disegnare il quadro della situazione. Il quarto attore, il sindacato, ha dimenticato che le battaglie sindacali pregnanti hanno come obiettivo non solo la difesa del posto di lavoro, ma soprattutto i ritmi di lavoro, la dignità e la salute. Il quinto attore, i lavoratori, sono stati usati: meglio inquinati che disoccupati. Il timore di esprimere il proprio disagio, la loro strumentalizzazione, i tornaconti individuali, l’incapacità o la cattiva volontà del sindacato nel saper interpretare queste contraddizioni ha ridotto questi attori a soggetti poco capaci di  consapevole autonomia. Il sesto attore, i comitati dei cittadini, e le associazioni ambientaliste hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo antagonista non tanto nei confronti dell’impresa, quanto nei confronti della pubblica amministrazione che non ha tutelato in questi anni e non dimostra ancora di saper svolgere il proprio ruolo di tutela della salute di chi vive direttamente un dramma sanitario stando a stretto contatto con la Ferriera, e si barcamena nell’ambiguità come il recente incontro con le donne della Ferriera e la votazione in Consiglio comunale sulla petizione popolare che chiedeva l’eventuale chiusura dell’area a caldo nel caso in cui non fosse risolto il rischio per la salute anche con gli interventi di ambientalizzazione degli impianti, come l’impianto di aspirazione da 4 milioni che dovrebbe risolvere l’inquinamento diffuso dalla cokeria. Prima voto negativo, poi improvviso cambio di rotta: si vota sì.

Il settimo attore è la magistratura che ha svolto un ruolo di supplenza affidando ai consulenti Barbieri (inquinamento chimico) e Boscolo (analisi e quantificazione degli interventi da attuare per la bonifica ambientale degli impianti a caldo) di valutare il da farsi e che ha criticato le generiche prescrizioni contenute nell’AIA.

Lo scenario è cambiato, dicono Comune e Regione. Il nuovo imprenditore manifesta la volontà di cambiare registro: tutto d’ora in poi sarà diverso, vero è che alla stesura dell’ AdP, è stato detto nel corso delle relazioni, non ha partecipato una parte dei portatori d’interesse: i comitati e le associazioni ambientaliste, e che l’intervento previsto da Invitalia per la bonifica delle falde, per una spesa pubblica di 41,5 milioni non tiene conto dell’ipotesi di una tecnologia alternativa: le Barriere reattive permeabili, il cui costo scenderebbe a circa un terzo rispetto a quello previsto. In tempi in cui sprechi di soldi pubblici sono all’ordine del giorno un’analisi costi-benefici sarebbe stata indispensabile.

Trieste come Taranto? Non nelle dimensioni ma la rappresentazione è analoga: assenza, per esser buoni, della PA e supplenza della magistratura. Di diverso è il ruolo forte dei lavoratori almeno di quella parte che si riconosce nei Cittadini e lavoratori liberi e consapevoli.

Gallina vecchia farà buon brodo a Servola? E’ quello che si aspettano tutti. E il riesame dell’AIA sarà il banco di prova della PA in questa vicenda.

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