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Foce dell’Isonzo: quando la tutela ambientale non va più di moda

Foce dell’Isonzo: quando la tutela ambientale non va più di moda

In merito agli articoli apparsi su “Il Piccolo” il 06.09.2017 ed in data odierna, il Circolo Legambiente “Ignazio Zanutto” di Monfalcone vuole precisare alcuni aspetti ed esprimere alcune considerazioni. Senza entrare nel merito dell’ipotesi della tanto sbandierata proposta di “ampliamento” della Riserva Naturale Foce dell’Isonzo da parte del Comitato tecnico-scientifico per le aree protette Legambiente desidera fare un po’ di chiarezza:

  • sulle aree in questione insistono due diverse forme di tutela ambientale: la Riserva Naturale Foce dell’Isonzo (istituita in base alla L.R. 42/1996) e il ZSC/ZPS “IT3330005 Foce dell’Isonzo – Isola della Cona” (Sito Natura 2000 istituito in base alle direttive europee Habitat 92/43/CEE e Uccelli 2009/147/CE).
  • allo stato attuale c’è un’evidente incongruenza tra i confini della Riserva Naturale e quelli della ZSC/ZPS, che rende impossibile un approccio coerente nella tutela dell’area a mare (viene da chiedersi come mai non si sia scelto di farli coincidere fin dall’inizio, ovvero quando sono stati definiti i confini dei Siti Natura 2000 che insistono nel nostro tratto costiero). Ci sono quindi zone di sola Riserva Naturale (che rispondono quindi al Piano di Conservazione e Sviluppo e al Regolamento della Riserva) e altre invece di solo ZSC/ZPS (sottoposte alle Misure di Conservazione del Piano di Gestione del Sito Natura 2000, in fase di approvazione), con conseguente gran confusione. Ci pare quindi logico voler uniformare i due confini.
  • i due strumenti normativi ad oggi vigenti e quindi di riferimento (cogenti) per la gestione della Riserva sono il Piano di conservazione e sviluppo (PCS) e il Regolamento della Riserva. Il PCS, in vigore da ben 9 anni, identifica la quasi totalità della parte a mare della Riserva Naturale (la gran parte della zona in verde nella mappa dell’articolo di mercoledì scorso) come zona RN (il livello di protezione più elevato).
  • il Regolamento della Riserva, pubblicato sul BUR nel 2003 ed in vigore, quindi, da ben 14 anni, permette la navigazione solo per fini escursionistici (art. 10, comma 8 “è permessa la navigazione per fini escursionistici sulle acque fluviali e marine individuate a tale scopo dall’Organo gestore in attuazione del piano di conservazione e sviluppo…”) e, cosa più importante, vieta la balneazione nelle zone RN della Riserva (art. 10, comma 9: “La balneazione è consentita nelle zone classificate come RG e RP dal Piano di conservazione e sviluppo, se non interdette da specifiche disposizioni di legge”).

QUINDI DOV’È LA NOVITA’?

NON C’È. Semplicemente, attraverso il Piano di Gestione del Sito Natura 2000 in fase di approvazione, il Comitato tecnico-scientifico ribadisce quanto già previsto dalla normativa vigente e la necessità di farlo applicare, cercando di metter ordine a una situazione che nel periodo estivo rasenta la totale anarchia. Basta infatti consultare una qualsiasi mappa satellitare dell’area (per non parlare dei video pubblicati sui social network!!!) per verificare come questo divieto sia stato totalmente disatteso da centinaia di imbarcazioni.

Ancor più grave, tutto ciò è avvenuto sotto gli occhi indifferenti di chi doveva vigilare e informare le autorità competenti e non l’ha fatto. In tutti questi anni non si è trovato (o voluto trovare) il tempo e il modo per spiegare alla propria comunità quello che si poteva o non si poteva fare, in base alle norme in vigore, e le ragioni.

Se le regole fossero state applicate e fatte rispettare dal momento della loro approvazione, avremmo messo in salvaguardia l’area a mare della riserva, ed evitato adesso l’ira dei diportisti che d’estate affollano i banchi sabbiosi, incuranti di divieti e del giusto rispetto dei luoghi e della natura che li circonda. Oltre alla questione cruciale del mancato rispetto delle regole, nella degenerazione del dibattito a cui stiamo assistendo troviamo anche un odioso atteggiamento di disprezzo nei confronti delle evidenze scientifiche.

Apprezziamo (per modo di dire) l’improvvisa competenza scientifica vantata nelle ultime dichiarazioni dai politici locali, ma ci preme ricordare che la scienza non si inventa. Il Comitato tecnico-scientifico per le aree protette (previsto dalla L.R. 42/1996) non è il male da sconfiggere, ma è un organo consultivo dell’Amministrazione regionale, incaricato di esprimere pareri obbligatori in materia degli ambiti sotto tutela (art. 8 L.R. 42/1996), ed è costituito da cinque Direttori di Servizio della Regione e da sei esperti proposti per competenza nelle varie materie dalle due Università regionali (Udine e Trieste). Non proprio dei dilettanti, insomma.

L’obiettivo primario di una Riserva Naturale è (e deve rimanere) la tutela dell’ambiente. Non si tratta solo di avifauna ma di tutto il delicato ecosistema che la caratterizza: ambienti di riproduzione, alimentazione, praterie di fanerogame, banchi sabbiosi semi-sommersi compresi. Altrimenti, c’è da chiedersi, per quale motivo sono state istituite?

Dopodiché, si può anche discutere di fruizione e di giusta sostenibilità, ma queste sono imprescindibili dal rispetto delle regole e degli organi scientifici chiamati ad esprimersi sulla gestione della Riserva stessa, condizioni che riteniamo ancora lungi dall’essere raggiunte. Va ricordato che all’interno della Riserva Foce dell’Isonzo si è consentito la realizzazione di una darsena, nell’ottica di non negare sempre tutto alla locale nautica da diporto. Ebbene, questo sembrava già un compromesso più che sufficiente. Purtroppo le affermazioni del portavoce di Punta Barene ci sottolineano ancora una volta quanto questo non sia stato compreso.

Come più volte affermato, il permesso di costruire la darsena oltre al danno diretto (enorme!) ha avvalorato l’arroganza di pensare di poter fare della Riserva ciò che si vuole. E questa di cui stiamo discutendo ne è l’esatta dimostrazione.

Restiamo allibiti per l’atteggiamento tenuto sulla vicenda non solo da un gruppo di cittadini, ma anche da rappresentanti delle istituzioni, alcuni dei quali, peraltro, ritenevamo avere una sensibilità particolare sui temi ambientali, così come espresso in molte occasioni, ed invece in questa circostanza stanno dimostrando come in questo Paese sia più semplice cavalcare la pancia dei possibili elettori piuttosto che essere strumenti di crescita delle proprie comunità.

Proprio per l’importanza di questi luoghi, che appartengono a tutti e non solo agli “Amici dei caregoni”, Legambiente ribadisce che la strada intrapresa per porre ordine a questa situazione è quella giusta e che la movida diportistica estiva deve avvenire al di fuori dei confini della Riserva Naturale e del Sito Natura 2000.

Il Golfo è grande, perché ostinarsi, in nome della “tradizione”, a rischiare di rovinare un ambiente naturale prezioso e allo stesso tempo delicato (ancor di più in un’epoca di cambiamenti climatici)? Una delle attrattive più belle che abbiamo sul nostro territorio, che negli ultimi anni ha prodotto anche un notevole richiamo turistico.

Se così non sarà, siamo pronti a presentare le nostre ragioni alle Autorità competenti, in sede Europea e allo stesso Comitato Ramsar.

Perché è ora di finirla di usare la tutela della natura come delle medagliette da attaccarsi al petto quando fa comodo e per rastrellare qualche denaro, se poi alla prima occasione buona le si volta le spalle, per di più con una discreta arroganza.

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