La scienza ci dice che il cambiamento climatico è un rischio globale e l’inazione non può che accrescere i danni futuri. Danni sociali anche nelle forme estreme di perdita di vite umane, già evidenti, sempre più spesso si intrecceranno a quelli ecologici ed economici, amplificando il problema. Nonostante ciò siamo in presenza dell’uso di una comunicazione scorretta da parte di coloro che rivestono un ruolo pubblico, qui in Friuli come altrove. Nel nostro caso il territorio maggiormente coinvolto è quello delle Alpi Carniche e Prealpi Giulie, con particolare riferimento alla tempesta Vaia. Vaia è stata l’evento più distruttivo mai registrato nelle foreste italiane.
Lo dimostrano i numeri contenuti nel report pubblicato dalla Direzione Foreste del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo. Tra il 27 e il 29 ottobre 2018 il vento si è incanalato lungo i versanti di molte valli alpine, raggiungendo velocità superiori ai 150 km all’ora. Sui crinali del Monte Rest il vento ha superato i 200 km orari. In alcune vallate si sono schiantati quasi tutti gli alberi, con 8,6 milioni di metri cubi di legname morto. E’ difficile non immaginare un nesso tra questo tragico evento e i cambiamenti climatici in atto. Tuttavia il Presidente della Regione FVG Massimiliano Fedriga, in occasione di un incontro con la Protezione Civile a Ravascletto si è espresso utilizzando termini quali “folle ambientalismo”, indicandolo come un sicuro responsabile dei disastri verificatisi alla fine di ottobre; critica quegli ambientalisti che, “alzando la mano dal salotto”, impediscono “di togliere la ghiaia dai fiumi” e di “tagliare le piante” che poi cadono sulle linee elettriche e interrompono la viabilità. Eppure esiste un dossier sui cambiamenti climatici a cura di ARPA FVG dove si affrontano i diversi scenari di impatto in Regione e dove si evincono le possibili cause. E’ stata sicuramente un’ occasione mancata per inquadrare correttamente il fenomeno Vaia, il futuro che ci attende e per anticipare il cambio di passo che come comunità regionale dobbiamo operare. Un altro esempio di comunicazione distorta, che riportiamo, riguarda il “fenomeno Greta” e come abbia trovato risonanza in un Bollettino Parrocchiale di un paese di montagna, in cui viene descritta come “una ragazza che soffre di autismo, utilizzata ad arte dai suoi genitori” e a proposito dei cambiamenti climatici si afferma “Certo non ci sono più le stagioni di una volta ecc. ecc., ma la scienza ci dice che tutto questo è già accaduto è che i climi cambiano da un decennio all’altro.” Gli esempi potrebbero continuare ma ci fermiamo qui. Questa bandiera nera non è la ritorsione corporativa degli ambientalisti. Vuole solo richiamare tutti e soprattutto chi riveste pubblica autorità all’uso responsabile delle parole. Sempre. A maggior ragione su questi problemi che riguardano il presente ma, soprattutto, il futuro dei nostri territori. Un futuro sempre meno prevedibile.
Sotto riportiamo le schede delle altre bandiere (due verdi e una grigia); ci soffermeremo su queste intervistando i i protagonisti nelle prossime newsletter. Abbiamo anticipato la nera al Presidente della Regione Fedriga anche anche a seguito di una polemica che si è accesa dopo l’assegnazione i cui risvolti li potete trovare nel post successivo.
Bandiera Verde a : Cooperativa COOPMONT di Collina (Forni Avoltri, UD)
Motivazione: un gruppo di giovani crea una cooperativa e rilancia un’antica varietà orticola, dimostrando che di montagna e in montagna si può vivere Collina e Collinetta condividono, con i borghi di Sauris, il primato di centri situati alle quote più elevate del Friuli Venezia Giulia, ma solo in questi luoghi, ai piedi delle imponenti pareti del Coglians e dei Monti di Volaia, si “respira” effettivamente un’aria di alta montagna. Come ci hanno tramandato le splendide immagini scattate agli inizi del Novecento dal fotografo Umberto Antonelli, attorno alle case e ai fienili, con alcune superstiti coperture di paglia, si stendeva una distesa ordinata di prati e di campi con le poche colture possibili a queste quote: orzo, segale, canapa, patate e cappucci. Il fenomeno dell’abbassamento dei limiti altimetrici, tipico di questa parte delle Alpi Orientali, rende, infatti, la coltivazione di alcune specie vegetali non più redditizia per la difficoltà o impossibilità di giungere a maturazione. Tra i pochi ortaggi seminati dagli abitanti dei due paesini il più caratteristico era il cjapùt (il cavolo cappuccio), che faceva puntualmente la sua comparsa in gran numero sul cassone di un camion e su una improvvisata bancarella in occasione del tradizionale Mercato di Ognissanti, che si tiene a Tolmezzo ogni primo lunedì di novembre.
Custode di questa tradizione, fin che l’età gliel’ha consentito, è stato Ciro Toch, gestore del piccolo spaccio della Cooperativa Carnica di Collina. Il tradizionale prodotto, conosciuto anche oltre i confini della Carnia, era così destinato ad una probabile scomparsa, se non fossero intervenuti recentemente due fatti: da una parte, la sua iscrizione, su richiesta dell’Amministrazione Comunale, nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) e, dall’altra, la nascita di una cooperativa, avviata da giovani del posto desiderosi di continuare a vivere in paese facendo, con metodologie moderne, quello che si faceva un tempo. Le sorelle Francesca, laureanda in tecnologie alimentari e Martina, diplomata in agraria, ventitre e vent’anni, assieme a Daniele, rientrato dalla Germania, ventisei anni, nipote di Ciro, che di anni ormai ne ha novantadue, hanno avviato la loro attività nel 2016, aiutati da due fratelli romani, Andrea e Monica, di cinquanta e cinquantatre anni, uno artigiano, l’altra dirigente di un asilo nido, che hanno preferito lasciare la città perché innamorati di queste montagne. In breve, grazie ai nonni di Daniele, che hanno messo a disposizione i semi dell’antica pianta – rinnovati anno dopo anno in attesa di poterli tramandare ai posteri – e al sostegno del Consorzio Privato di Collina e della Lega Coop FVG, sono stati recuperati all’agricoltura vari ettari di terreno da tempo abbandonati. In tutto una settantina di appezzamenti, alcuni dei quali appartenenti ad una ventina di proprietari. Dopo aver contattato decine e decine di “collinotti”, molti dei quali emigrati, ed averli convinti della bontà del progetto, è iniziata la semina. Nel 2018 – la stagione “zero” – il raccolto è andato letteralmente a ruba. In ottobre è stata anche organizzata a Collina la riuscitissima “festa dei cavoli nostri” e già sono in programma un’estensione dell’area coltivata, che dovrebbe arrivare a nove ettari, e un allargamento alla produzione di altre varietà locali: orzo, canapa, luppolo e piante officinali. L’intera comunità si è sentita coinvolta, tanto che molti terreni sono stati concessi a titolo gratuito e capita spesso che qualche paesano si presenti, senza bisogno di essere richiesto, a dare una mano nei campi. Un esempio di solidarietà e di attaccamento alla montagna che non poteva non venire dal paese che aveva visto
BANDIERA VERDE ALLA COOPERATIVA “LA SCLUSE” E AL SUO PRESIDENTE FABIO PAOLINI.
Motivazione. La cooperativa “La scluse”, con tenacia ed intelligenza, ha saputo riutilizzare i locali della vecchia stazione dismessa di Chiusaforte creando, senza contributi pubblici, un luogo di ristoro confortevole diventato punto di riferimento per tutti i fruitori della ciclovia Alpe Adria. Non solo. Ha creato occupazione soprattutto giovanile ed è diventata un centro di promozione della cultura della montagna e del territorio. Una stazione al servizio della mobilità lenta, dei pellegrini in cammino (Cammino celeste, Romea Strata), degli amanti del treno e dell’ambiente. Un punto di riferimento per il paese di Chiusaforte. Un esempio virtuoso di “Fasin di bessoi” aperto al mondo.
Descrizione La stazione di Chiusaforte è posta al km 56 della Ferrovia Pontebbana; è stata inaugurata nel 1879 e dismessa nel 1995. Nel 2013 la Cooperativa, acquisendo in affitto da R.F.I. la struttura, ha avviato l’attività, dopo aver effettuato lavori di manutenzione straordinaria. Attualmente ospita un bar con servizio di ristorazione, una sala di riposo e di lettura con biblioteca, la mostra fotografica, un angolo informativo con wifi, un piccolo fabbricato allestito per il noleggio e la riparazione di biciclette ed infine, ancora all’esterno, i caratteristici servizi igienici propri delle stazioni ferroviarie di un tempo. Al primo piano si trovano poi 4 camere nelle quali possono pernottare 10-11 ospiti. L’idea è quella di offrire un servizio semplice, sul tipo dei rifugi alpini, supportato da una struttura che pare deputata allo scopo, intrisa di storia e dislocata in un luogo appartato che si trova vicino al centro del paese e a contatto diretto con la montagna. Accattivante, risulta poi, lo stile architettonico ottocentesco del fabbricato, impreziosito da una bella pensilina, per tutti luogo di sosta prediletto. Punti di forza dell’esperienza sono stati il lavoro appassionato, solidale ed animato dallo spirito cooperativistico, la conoscenza delle lingue straniere e dei luoghi, la capacità di offrire buona ospitalità, da parte degli operatori. Ideatore e animatore dell’attività e del suo sviluppo è stato ed è il Presidente Fabio Paolini