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A proposito delle politiche per la montagna, se la Regione ha perso la memoria…

La scorsa settimana, prima ancora che venisse annunciato lo stanziamento di 57 milioni di euro per la nostra montagna, la diffusione di una fotografia che ritrae quattro personaggi, non certo marginali, sorridenti e soddisfatti davanti ad una vecchia pista da sci di Sella Nevea che la Regione intende ripristinare, mi ha spinto a qualche riflessione e ad un’amara presa di coscienza.

Dico subito che non so, sinceramente, che età avessero e di cosa si occupassero nel 1986 i quattro personaggi inquadrati nella foto – l’Assessore Regionale al Turismo Bini, il Vicepresidente del Consiglio Regionale Mazzolini, il Sindaco di Chiusaforte Fuccaro ed il Direttore di Promoturismo FVG Gomiero – certo è che o erano molto giovani e non avevano ancora maturato l’interesse per il territorio montano, oppure erano proprio distratti. Altrimenti non gli sarebbe sfuggita la bella iniziativa dedicata in quell’anno dalla nostra Regione a Foreste, Uomo, Economia nel Friuli Venezia Giulia, concretizzatasi in una bella Mostra curata dal Museo Friulano di Storia Naturale e dalla Direzione Regionale delle Foreste, sotto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica e quello di ben cinque Ministeri.

La Mostra, che fu allestita a Palazzo Giacomelli ad Udine e che da vari anni è ospitata in modo permanente ed è visitabile a Venzone, nello stesso edificio che ospita il Museo Tiere Motus, venne accompagnata da una bella pubblicazione di oltre 220 pagine, ricca di saggi, studi ed immagini. Tra di esse, nel capitolo conclusivo del volume, dedicato ai “Maggiori problemi delle foreste”, ed in particolare alla sezione “Alluvioni, dissesti, valanghe” spicca, a pag. 209, una significativa veduta della “Pista dei Secchioni”, nota anche come “Pista Slalom”, in quanto avrebbe dovuto ospitare sul versante soleggiato di Sella Nevea, al di sotto dell’Altopiano del Montasio, le gare relative a questa disciplina. “Avrebbe”, perché “inopinatamente” la pista fu abbandonata a pochi anni di distanza dalla sua realizzazione. La didascalia che accompagna l’immagine non a caso così commenta: “il turismo invernale porta talvolta a iniziative di tipo distruttivo del soprassuolo forestale. Ciò andrebbe meglio valutato per le conseguenze negative che superano di molto gli ipotetici benefici”.

Sono passati 35 anni; sono emersi gli effetti del riscaldamento globale; la C.I.PR.A. (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) ha recentemente ribadito che la monocultura dello sci da discesa sta mostrando tutta la sua fragilità ed è necessario, quindi, accelerare la transizione verso un modello di turismo invernale più compatibile; dovrebbe essere anche cresciuta la sensibilità ambientale … ma la Regione, per bocca di Bini e Mazzolini, annuncia un investimento di 4 milioni di euro per realizzare pista e impianto di risalita in un sito che si era già dimostrato inidoneo e fallimentare! Il considerevole investimento di danaro pubblico avrebbe come conseguenza – sempre a detta di Mazzolini – l’esigenza di un incremento dei posti letto esistenti a Sella Nevea. L’obiettivo, incredibile, sarebbe dunque quello di rendere più bella ed attraente la località aumentandone ulteriormente la pesante cementificazione!

Questo esempio di evidente contraddizione non rappresenta, però, un episodio isolato, sia per quanto riguarda la realizzazione di nuove opere che la gestione e le attività autorizzate.

Basterà ricordare che qualche mese fa, nonostante Legambiente, il CAI ed il Comune di Paluzza avessero segnalato l’errore che era stato commesso, la Protezione Civile e la Direzione Regionale Difesa dell’Ambiente hanno confuso una vecchia mulattiera che conduce al rifugio Marinelli con una strada carrabile, decidendo di approvare un progetto di nuova viabilità forestale che era già stato valutato e bocciato nel 2010 dal medesimo ufficio di valutazione ambientale.

Il prossimo settembre, poi, saranno trascorsi esattamente cinquant’anni dall’istituzione del Parco Naturale di Fusine, che fu il primo della nostra regione. ”L’ambiente alto montano dei laghi di Fusine – si legge negli Atti del Primo Convegno dedicato all’argomento – rappresenta un esempio fra i più nobili e i più puri, per la delicata ed aspra bellezza del suo paesaggio e per la scarsa antropizzazione dei suoi componenti”. Antonio Comelli, allora Assessore Regionale all’Agricoltura, alle Foreste e all’Economia Montana ed in seguito Presidente della Regione (non certo un pericoloso estremista ambientalista, dunque), esprimeva, sempre nel 1971, la soddisfazione per l’obiettivo raggiunto e, insieme, la preoccupazione che un afflusso di “visitatori egoisti, pigri, rumorosi, disordinati” potesse nuocere agli equilibri della natura. Questi timori erano pienamente condivisi da Riccardo Querini, in quegli anni direttore dell’Azienda Regionale delle Foreste, che sostenne l’esigenza di contrastare certi comportamenti “con fermezza, mediante l’applicazione di precisi regolamenti di polizia naturalistica” ai quali veniva affidato il compito di richiamare l’attenzione del fruitore del Parco “sulla necessità di non turbare in alcun modo l’ambiente, né con l’abbandono di rifiuti, né con la diffusione di rumori, né con altre possibili forze negative”.

Il Consiglio di Amministrazione dell’Azienda Regionale delle Foreste, con delibera n. 89 del 29 maggio 1973, approvò così le “Norme da osservare per la fruizione degli ambienti ubicati nel Parco Naturale di Fusine”. Tra le varie azioni che venivano vietate, con tanto di indicazione degli articoli del codice penale che sarebbero stati violati, vi compaiono: “allestire attendamenti”, “gettare a terra ed in acqua rifiuti di qualsiasi genere”, “smuovere il terreno”, “alterare qualunque elemento formante l’ambiente naturale e paesaggistico”, “introdurre nel parco automobili, motociclette o altri mezzi di locomozione”, “accendere radio, giradischi ed altri strumenti sonori”.

Da tempo i laghi di Fusine, che avrebbero dovuto diventare un “modello” per le altre aree protette della regione, non sono più “Parco Naturale”, ma anche come semplice SIC (Sito di Interesse Comunitario) dovrebbero essere sottoposti ad un minimo di tutela. Invece, tra centraline idroelettriche che hanno ridotto, nella migliore delle ipotesi, ad un rigagnolo il rio emissario del Lago; progetti di nuovi parcheggi, quasi non bastasse l’invasione estiva di auto e camper; etc.; dovremo presto assistere al ripetersi della trasformazione di uno scenario unico in sfondo per i concerti organizzati nell’ambito della manifestazione “No Borders”, che beneficia di un consistente sostegno finanziario (50.000 euro?) da parte della Regione. La scorsa estate si svolsero addirittura sette concerti – che avrebbero potuto benissimo essere ospitati in uno stadio o in una piazza – distribuiti lungo lo spazio di due settimane, con il risultato di lasciare sul campo della splendida località tratti di terreno asportati dal passaggio di mezzi cingolati, un prato segnato e ingiallito e rifiuti distribuiti un po’ ovunque. Magari sarà eccessivo dire che il sito è stato trasformato in “discarica”, però era difficile trovare un metro quadro di terreno in cui non si rinvenisse un mozzicone di sigaretta o un tappo di plastica o una cartaccia.

Qualcosa di peggio dei decibel dei concerti rock è quello che attende nel prossimo mese di giugno il “geosito” dei Rivoli Bianchi di Tolmezzo, ai piedi del Monte Amariana, che una pregevole pubblicazione dell’Università di Trieste e della Regione, edita nel 2009 ed andata presto esaurita, giudica di “interesse sovranazionale”. Qui, con grande soddisfazione dell’Assessore Bini e del Vicepresidente Mazzolini, questa volta in compagnia del Sindaco di Tolmezzo Brollo e del Presidente della Camera di Commercio Da Pozzo, sarà il rombo delle moto e quello che esce dai loro tubi di scappamento a farla da protagonisti, in un luogo in cui ci si aspetterebbe la presenza di scolaresche e appassionati della natura, rigorosamente a piedi, impegnati anche ad ammirare la straordinaria fioritura, per queste quote, del raro raponzolo di roccia.

Che dire? Non è certo questa la “valorizzazione” della montagna che si immaginavano gli amministratori di un tempo e di cui abbiamo bisogno. Quando un individuo comincia a perdere la memoria c’è da preoccuparsi, perché può essere la conseguenza di un trauma severo o il sintomo di una malattia degenerativa. Se questo capita ad un’istituzione pubblica la cosa è ancora più grave e non c’è proprio niente di cui sorridere.

 

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