C’era una volta il Parco di Fusine …
Nei giorni scorsi ampi servizi e intere pagine sono stati dedicati al 60° anniversario della costituzione delle Frecce Tricolori. È probabile che l’avvenimento avrebbe avuto ancora maggiore risonanza e sarebbe stato certamente apprezzato da più persone se i componenti della pattuglia acrobatica, approfittando della loro popolarità, avessero lanciato un chiaro messaggio e un richiamo alla responsabilità, come fa il “colibrì” di un noto apologo ambientalista. Rinunciando ad esibirsi e decidendo di rimanere a terra, avrebbero fatto, per una volta, la “loro parte” per la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dei cambiamenti climatici.
Le questioni ambientali in genere non pare però siano tra le priorità dei rappresentanti delle nostre istituzioni, che hanno dunque approfittato dell’occasione per esprimere il loro ringraziamento incondizionato e l’orgoglio per quello che le Frecce rappresentano. Il fatto è che, nello stesso periodo, nella nostra regione cadeva un altro importante anniversario, del quale colpevolmente tutti sembrano essersi dimenticati.
Esattamente cinquant’anni fa, il 12 settembre del 1971, si teneva infatti a Tarvisio il primo convegno dedicato alla “conservazione, conoscenza, organizzazione e fruizione degli ambienti naturali di alto pregio”, che sanciva la nascita del “Parco Naturale di Fusine”, il primo ad essere istituito nel Friuli-Venezia Giulia (scritto con il trattino, come si usava allora).
La scelta di Fusine non avvenne certo per caso, ma in quanto questo ambito veniva giudicato un “esempio fra i più nobili e i più puri, per la delicata ed aspra bellezza del suo paesaggio e per la scarsa antropizzazione dei suoi componenti”. Nella presentazione del volume che, grazie anche ad alcune splendide immagini, ne illustrava le caratteristiche e le bellezze, oltre alla soddisfazione, venivano espressi insieme una preoccupazione e un impegno: “subiranno danni questi modelli della natura da parte di visitatori egoisti, pigri, rumorosi, disordinati? Difenderemo il parco e le riserve. Nel nome della civiltà tutti dovranno spontaneamente aiutarci a difendere ogni creatura vivente del parco, a tutelare il silenzio, la visione e la pulizia nel nome della Natura, che è vita, ordine e amore”. Sono parole dell’allora Assessore Regionale all’Agricoltura e Foreste Antonio Comelli (divenuto qualche anno più tardi il Presidente della Ricostruzione), non di un “ambientalista estremista” di oggi.
Se si prende tra le mani anche la bella pubblicazione Il Tarvisiano, edita nel 1974 dal CAI Monte Lussari, vi si trova un bel capitolo intitolato “Il Parco Naturale di Fusine”, il cui autore è Riccardo Querini, in quegli anni direttore dell’Azienda Regionale delle Foreste. Anche per Querini le “ragioni naturalistiche e morali che determinano l’obbligo di attuare un isolamento del bene, per evitarne il deterioramento o l’alterazione o la distruzione” si scontravano con la “disordinata fruizione ricreativa” che si verifica durante l’estate e con quei comportamenti “tollerati come una espressione della vivace giovinezza dell’attuale società” che devono essere contrastati “con fermezza, mediante l’applicazione di precisi regolamenti di polizia naturalistica”. Al termine del saggio vengono infatti riportate le “Norme da osservare per la fruizione degli ambienti ubicati nel Parco Naturale di Fusine”, approvate dal Consiglio di Amministrazione dell’Azienda Regionale delle Foreste, con delibera n. 89 del 29 maggio 1973. Tra le varie azioni che venivano vietate, con tanto di indicazione degli articoli del codice penale che sarebbero stati violati, vi compaiono: “allestire attendamenti”, “gettare a terra ed in acqua rifiuti di qualsiasi genere”, “smuovere il terreno”, “alterare qualunque elemento formante l’ambiente naturale e paesaggistico”, “introdurre nel parco automobili, motociclette o altri mezzi di locomozione”, “accendere radio, giradischi ed altri strumenti sonori”.
Stiamo parlando degli stessi luoghi dove, recentemente, ci è toccato di raccogliere 1180 mozziconi di sigaretta lasciati sul terreno e dove nelle ultime estati hanno stazionato per una ventina di giorni un palco e centinaia di poltroncine per accogliere il pubblico dei concerti di “No Borders”. La Regione e l’Azienda Regionale delle Foreste, un tempo, non trascuravano affatto i riflessi positivi per il turismo e per l’economia locale derivanti dall’istituzione del Parco, tutt’altro. Solo che, invece di realizzare nuovi parcheggi attorno ai laghi o di banalizzare questi ultimi riducendoli a “sfondo” per l’esibizione di complessi rock, pensavano ad una ricaduta sulle località limitrofe e alla frequentazione da parte di turisti responsabili, magari accompagnati da guide naturalistiche della zona.
Nei cinquant’anni che sono seguiti sono intervenuti molti fatti nuovi: sono stati istituiti ben più estesi Parchi Regionali; la normativa dello Stato italiano e della Regione, sulla spinta delle Direttive Europee, ha fatto notevoli progressi; la stessa sensibilità dei cittadini e delle istituzioni nei confronti della tutela dell’ambiente pare abbia fatto molti passi in avanti. Anche se il “Parco di Fusine” è ora diventato un S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario) ed il Regolamento approvato nel 1973 non è più in vigore, buon senso e norme attuali dovrebbero impedire tanto i rumorosi mega-concerti in riva al Lago, che l’impunito abbandono di rifiuti da parte della minoranza meno educata del pubblico (documentata da Legambiente, ma implicitamente ammessa dagli stessi organizzatori di No Borders), ma dovrebbero risparmiarci anche l’invasione di auto e camper durante le altre giornate estive e le centraline idroelettriche che sottraggono acqua al corso del rio emissario. Se questo è invece tranquillamente consentito, c’è proprio qualcosa che non va.
Quanto di negativo accade ai Laghi di Fusine non è però, purtroppo, un caso isolato. Inutili strade e assurde piste da sci vengono progettate all’interno di aree protette; si autorizzano gare motoristiche fuoristrada con centinaia di partecipanti attorno a biotopi naturali e dentro geositi di interesse sovranazionale; etc. Ormai in nome del business e dei “grandi eventi” che portano effimeri benefici all’economia turistica, si lascia fare di tutto. “C’era una volta il Parco di Fusine”, verrebbe da dire, ma, forse, sarebbe più esatto e completo prendere semplicemente atto che “c’era una volta una Regione responsabile e lungimirante”.