C’è una emergenza emissioni nel Friuli occidentale?
Il problema delle emissioni inquinanti nell’area pedemontana del Friuli occidentale è una questione che sta arrivando ad uno snodo decisivo, non tanto per l’indeterminatezza che ruota attorno alle attività di controllo con le quali si è cercato di gestire la situazione fino ad oggi, quanto per il fatto che sono entrati in vigore i nuovi limiti dettati dall’Unione Europea, recepiti dall’Italia con il D.Lgs. 81/2018, che abbassano di molto l’asticella in fatto di limiti di emissione per tutte le sostanze inquinanti che vengono emesse in atmosfera ed introduce inoltre l’obbligatorietà del monitoraggio di sostanze altamente inquinanti, come i metalli pesanti quali il cadmio, mercurio e piombo, ma non previste dal vecchio ordinamento.
Si apre quindi una nuova fase, non gestibile unicamente con miglioramenti tecnologici degli impianti, ma anche attraverso l’attuazione di rigorose politiche autorizzative e di controllo.
Analizzando i dati del catasto emissioni (ARPA-INEMAR FVG ed. Nov. 2020) per questo territorio, appare evidente che la situazione presenta molte criticità e che un intervento più stringente degli organismi di controllo non è più derogabile. Concentrazioni molto elevate di sostanze inquinanti come l’anidride carbonica (CO2) e le sostanze acidificanti strettamente correlate alle attività di incenerimento nell’area pedemontana del Friuli occidentale sono un dato accertato.
In particolare, si rilevano quantitativi elevatissime di anidride carbonica e ossidi di azoto (NOX), sia in valore assoluto sia in concentrazione per km2, nel territorio di Fanna.
Maniago è il primo comune in regione per quanto riguarda le emissioni di metano (CH4) collegate al trattamento dei rifiuti.
Mentre elevate concentrazioni di ammoniaca (NH3) e metalli pesanti come il mercurio (Hg) si riscontrano nello spilimberghese con una percentuale di oltre il 90% dei rifiuti speciali e pericolosi, inceneriti nell’impianto di Spilimbergo, di provenienza extraregionale.
Tutto questo non può essere il prezzo dello sviluppo, per più di una ragione. Innanzitutto, la concentrazione di industrie con alto grado di emissioni nel Friuli occidentale non pare essere casuale. La considerazione più ovvia che viene da fare è che, trattandosi di un’area scarsamente popolata, si trovi conveniente ed opportuno concentrare qui una serie di attività inquinanti, con lo scopo di circoscrivere l’inevitabile danno che ricade sulla popolazione. Non è un ragionamento che fila e soprattutto non è accettabile per chi ci abita: perdita di qualità dell’ambiente, conseguenze sulla salute, perdita di valore dei territori e delle proprietà. Se gli insediamenti industriali che il territorio attira sono questi, beh c’è da preoccuparsi. Un territorio che si specializza nella perdita di valore.
Come non fila per niente il discorso legato all’economia circolare che starebbe dietro questi grandi impianti di incenerimento di rifiuti anche speciali e pericolosi. Qui non ci troviamo assolutamente di fronte ad alcuna circolarità dell’economia in quanto il cerchio si chiude molto lontano dai luoghi dove i rifiuti vengono prodotti: senza un ambito territoriale circoscritto, quale potrebbe essere la regione o una provincia per le regioni più grandi ed industrializzate, non si avvia alcun cambiamento. Nessun circolo virtuoso si innesterà a monte per far evolvere il modello di sviluppo da inquinante a pulito per la semplice ragione che non c’è convenienza a farlo perché il problema non esiste, il problema è stato spostato.
Davanti a certe evidenze e alle considerazioni che ne conseguono, valgono poco e niente anche i rilievi che si fanno circa i posti di lavoro in quanto il personale impiegato è facilmente ricollocabile sia per il limitato numero di unità coinvolte sia per la facilità di reimpiego di personale qualificato e preparato. Come non c’è un rapporto proporzionale tra l’industria dello smaltimento e la permanenza delle popolazioni in loco, semmai è vero il contrario perché a medio-lungo termine il processo di degrado diventa irreversibile.
È opportuno quindi che la Regione monitori l’area quale sorvegliata speciale, predisponga un piano per la riduzione dei rischi derivati dalle emissioni sul territorio ed avvii lo studio epidemiologico, più volte annunciato, sull’impatto degli inquinanti pericolosi sulla salute umana, in particolare sulle fasce più deboli della popolazione.