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In memoria: omaggio a Remo Cacitti

In memoria: omaggio a Remo Cacitti

Ieri, mercoledì 8 marzo, si sono svolti nel Duomo di Venzone i funerali di Remo Cacitti, scomparso a Milano all’età di 74 anni. All’indomani del Terremoto del 1976, solo una grande mobilitazione popolare riuscì ad impedire che il Duomo venisse lasciato in rovina a “tragica testimonianza” della catastrofe, in una Venzone riedificata su moduli prefabbricati lungo la Pontebbana. Di questa mobilitazione Cacitti fu ispiratore e protagonista.

Legambiente si unisce al cordoglio per la perdita di un illustre studioso e di un difensore della storia del Friuli e dei suoi beni culturali e artistici. Caro Remo, come ha scritto giustamente Paola Fontanini, “non servirà che serbi un sasso il tuo nome, poiché lo leggiamo in ogni pietra di questa tua Venzone”.

In memoria

Qualcuno ha detto che, senza memoria, senza conoscenza del passato, non c’è futuro. Saremmo condannati a vivere un eterno presente, senza possibilità di migliorarci e progredire. Non si saprebbe, cioè, trarre insegnamento dall’esperienza e dagli errori.

Non si può dubitare che questa consequenzialità sia ben chiara a chi si occupi, per passione o per mestiere, di storia. Remo Cacitti la storia la insegnava. Lo ha fatto per una trentina d’anni – dal 1974 alla pensione – a Milano, dapprima all’Università Cattolica e poi alla Statale, ma ha continuato ad interessarsene, confrontandosi con i colleghi e seguendo i suoi vecchi allievi, fino alla fine dei suoi giorni.

Si occupava di “Letteratura cristiana antica” e di “Storia del Cristianesimo antico”, traduceva e analizzava testi in greco, in latino, in aramaico, ma non per questo trascurava la realtà di oggi o si sottraeva all’impegno civile. Ed è stato capace di immaginare il futuro, quello della sua
terra in particolare.

Cacitti era originario di Caneva di Tolmezzo, dove era nato nel 1948, ma aveva vissuto in
seguito a Venzone e in questa località, all'indomani del disastroso terremoto che colpì il Friuli nel 1976, seppe mettere a disposizione della comunità la sua intelligenza, la sua preparazione e le sue relazioni, realizzando quello che può essere considerato un vero e proprio miracolo.

Se il nostro Paese può vantare oggi, in ambito internazionale, lo straordinario esempio della ricostruzione – dov’era e com’era – del borgo medioevale di Venzone e del suo Duomo trecentesco – rimontato pietra su pietra, per anastilosi – lo dobbiamo anche e soprattutto ad una persona come Remo Cacitti, alla sua ispirazione e alla sua caparbietà.

Da quel progetto culturale, che coinvolse studiosi ed esperti provenienti anche da Università
straniere, è scaturita anche la proposta di una “Carta dei Diritti dei Beni Culturali nella catastrofe”, utile in tutte le drammatiche situazioni che periodicamente si ripresentano nel nostro Paese.

Remo Cacitti è stato un intellettuale libero, con la schiena dritta, che non ha esitato a dire la
sua e a prendere posizione. Per questo è stato spesso considerato un intellettuale “scomodo”.
“Scomodo”, in un certo senso, lo è stato fin da studente, quando, assieme ad altri giovani
“contestatori”, fu radiato dal Circolo Universitario Culturale Carnico e fondò il Gruppo Gli Ultimi.

“Scomodo” lo è stato certamente in certi ambienti ecclesiastici, già da quando, per il Natale del
1972, assieme ad altri “cattolici del dissenso” realizzò a Tolmezzo un presepe che aveva al centro l’immagine degli abitanti di Hanoi sotto i bombardamenti americani. Basterebbe ricordare poi, in tempi più recenti, le reazioni con cui fu accolta l’uscita del libro-intervista “Inchiesta sul
Cristianesimo. Come si costruisce una religione”(Mondadori 2008) scritto con Corrado Augias.

“Scomodo” Cacitti lo è stato però soprattutto nei confronti delle istituzioni, che non esitava a
rimproverare e a richiamare ai propri doveri. Emblematica la”battaglia”intrapresa all’indomani del
Terremoto in Friuli e raccontata ne “Le pietre dello scandalo” (Einaudi 1980), quando, per usare
parole sue, fu solo una “grande mobilitazione popolare“ ad impedire che il Duomo venisse “lasciato in rovina a tragica testimonianza della catastrofe, in una Venzone riedificata su moduli prefabbricati lungo la Pontebbana”.

Non credo che il termine “scomodo”, se riferito ad un intellettuale, possa avere una qualche
accezione negativa, ma, anche se così fosse, rimane il fatto sconcertante che, di fronte a una tale personalità, i rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non si siano sentiti in dovere di
“scomodarsi” per rendergli omaggio, riconoscerne i meriti o almeno spendere qualche parola di
ringraziamento.

Marco Lepre

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