Agrivoltaico e Consumo di suolo: spesso se ne parla a sproposito
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Tiene banco il tema dei grandi impianti fotovoltaici a terra nelle campagne. Tema delicato che chiama in gioco elementi diversi e contrastanti, ma che, soprattutto, si presta a facili semplificazioni con conseguenti effetti di opposizione sociale.
Bisogna ricordare che siamo dentro un processo (condiviso) di decarbonizzazione, cioè di uscita dalle fonti energetiche fossili per transitare verso un sistema energetico che utilizzi solo fonti che non emettono CO2 in grado di contrastare la crisi climatica i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti e ridurre i costi in bolletta.
Dobbiamo cambiare rotta con la determinazione e la convinzione che ci derivano da una parte dall’urgenza di provvedervi e, dall’altra, dalla responsabilità che tutti abbiamo verso i nostri figli e verso il pianeta.
Ciò per dire che dobbiamo fare scelte che possono anche non essere gradite, ma che, sicuramente, sono necessarie; come la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra per quanto dovrebbero essere la soluzione residuale perché prima si dovrebbe fare una rigorosa scelta di risparmio energetico e di uso delle coperture e delle aree degradate e marginali, passando poi per l’agrovoltaico, soluzione ottimale di convivenza tra agricoltura e energia, lasciando per ultimi i terreni agricoli per gli impianti a terra.
Sono priorità che il ddl aree idonee regionale, discusso giorni fa in audizione regionale, sta faticosamente e non senza contraddizioni, affrontando.
Nel frattempo assistiamo alla diffusione di grandi impianti a terra che in parecchi casi suscitano, giustamente, perplessità e opposizione, ma che tuttavia, meritano alcune precisazioni; la prima delle quali è che non si tratta, né tecnicamente né giuridicamente, di consumo di suolo; infatti, questi impianti non impediscono l’uso agricolo futuro, possono essere progettati e gestiti per un concomitante uso agricolo, possono essere la base di nuova biodiversità, come dimostrano molti studi, l’occupazione di suolo complessiva è ridotta a pochi punti percentuali di superfici agricole (SAU); bastano due dati: l’occupazione di SAU prevista dal governo al 2030 per le aree idonee, è di 1.900 ha (0,82% SAU); la superficie finora occupata da impianti a terra in regione è di 376 ha (una % ancora rasente lo zero della SAU regionale).
Quello a cui invece, assistiamo, senza che nessuno, amministratori e associazioni agricole in testa, sembra dare alcuna importanza, è un’aggressione molto più vorace e continua di vere azioni di consumo irreversibile di suolo che avvengono continuamente, sotto gli occhi di tutti, contro le quali poche sono le voci di protesta o denuncia.
Ci si riferisce alle continue edificazioni con asfalto e cemento, comportanti, queste sì, un vero ed irreversibile consumo di suolo con perdita dei connessi servizi ecosistemici; consumo che in FVG è superiore del 12% della media nazionale. Trattasi di 63.528 ha consumati, cioè persi per sempre, su 792.400 della nostra regione, che crescono di oltre 50 ha all’anno senza che la rabbia di agricoltori e cittadini si faccia sentire. Numeri che incrementano di peso e impatto in pianura considerando che in montagna (40% della Regione) il consumo di suolo è molto ridotto!
E continuiamo a perdere suolo agricolo fertile senza necessità reali; si veda la lottizzazione a Pavia di Udine di una nuova area “produttiva” di 13,8 ha di buona campagna che verranno spazzati via per fare capannoni, strade, parcheggi; si veda il consumo di suolo incombente sulla Tangenziale Sud di Udine (160 ha quasi tutti ad uso agricolo); per non parlare della piattaforma logistica di 30 ha prospettata, con consenso di sindaco e giunta, a Porpetto o della nuova strada Sequals-Gemona che sottrarrà altri 50 ha. Chi si agita per queste sottrazioni definitive di suolo? Sono tutte ritenute “normali” e necessarie?
E se fossero tutti ettari di fotovoltaico?
Legambiente FVG è attiva da tempo per chiedere ai decisori politici di affrontare l problema; niente risposte concrete, mentre abbondano quelle verbali rispetto a un tema che ha urgenza e che, oggi, anche forze politiche da tempo schierate per la transizione energetica, sembrano aver dimenticato alla ricerca di facili consensi.
Il dibattito aperto sulle aree idonee impone alcune considerazioni che abbiamo esposto nell’audizione di giorni fa in Consiglio Regionale.
Riteniamo che il problema centrale non sia di limitare al massimo le aree idonee (come fa il ddl regionale), ma, caso mai, di trovare un giusto equilibrio tra un limite ragionato di cosa si deve escludere e una necessità, altrettanto ragionata, di proseguire rapidamente nella realizzazione di impianti.
Per questo abbiamo individuato alcuni obiettivi.
Il primo è far sì che le imprese presentino progetti migliori e più integrati nei territori. Progetti fatti bene, di qualità, presentati e discussi preventivamente con le amministrazioni e le popolazioni locali devono essere la norma.
Il secondo obiettivo è che tutti gli impianti prevedano un piano agronomico contrattualizzato con una impresa agricola, meglio se in partenership, in modo che, da un lato, si mantengano in coltura i terreni e, dall’altro, vi sia opportunità di lavoro. A tal proposito la Regione sostenga le sperimentazioni colturali, coinvolgendo l’Università e le Agenzie preposte a seguito della mosaicatura del microcolima che si verifica sotto i pannelli, con l’aumento dell’ombreggiamento a terra e la riduzione dell’evapotraspirazione. Tutto ciò male non fa alla luce delle prevedibili e crescenti ondate di calore e di siccità durante i mesi di produzione.
Non vi è nessun motivo tecnico o economico per cui in un impianto utility scale non si possa svolgere un’attività agricola; si può fare e va fatto!
Il terzo obiettivo è individuare norme che favoriscano davvero l’utilizzo di coperture ed aree non agricole. Il Piano Energetico Regionale indica 13.000 ha, proprio quanti ne servono per decarbonizzare la Regione, di superfici sufficienti a installare oltre 12.000 MW su aree non agricole! Con questo non si vuol dire che le aree agricole non saranno più utilizzate, ma che vi sono potenzialità che vanno ricercate superando il dibattito aree idonee = aree agricole.
Il quarto obiettivo è dare spazio alla condivisione dei progetti; senza accettazione sociale, la transizione energetica non si fa; ma siccome la dobbiamo fare, cerchiamo di farla riducendo i conflitti e accompagnando i territori in processi partecipativi che fanno bene a tutti. Questo obiettivo si salda con quello delle compensazioni per le quali va superato il limite del 3% dei proventi approvando altre misure compensative con specifici provvedimenti regionali per fare, per es., comunità energetiche rinnovabili.
Emilio Gottardo, referente Energia e clima di Legambiente FVG