Greenpeace, Legambiente, WWF: “Solidarietà ai lavoratori di Acciaierie d’Italia, serve subito piano nazionale per lavoro, salute e decarbonizzazione”
GREENPEACE, LEGAMBIENTE, WWF: SOLIDARIETA’ AI LAVORATORI DI ACCIAIERIE D’ITALIA. SERVE SUBITO UN PIANO NAZIONALE PER LAVORO, SALUTE E DECARBONIZZAZIONE
Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia esprimono solidarietà e vicinanza a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori del gruppo Acciaierie d’Italia, ai loro familiari e all’indotto che vive un momento di profonda incertezza. “Siamo dalla loro parte: la tutela dell’occupazione e il rispetto della dignità delle persone devono essere elementi vincolanti in qualunque processo decisionale che riguardi il futuro degli stabilimenti, alla pari della salvaguardia della salute e della necessità di abbattere le emissioni inquinanti e climalteranti”.
“Va scongiurato il rischio ambientale e sanitario che una gestione emergenziale o una chiusura non programmata del ciclo produttivo comportano, specie se attuate in assenza di un piano strutturato di bonifica e di riconversione: ci sarebbero gravi rischi di danno ambientale duraturo per il territorio e per la salute delle comunità locali”.
Le associazioni ambientaliste avevano chiesto solo dieci giorni fa al governo un piano di transizione degli stabilimenti del gruppo basato su governance chiara, tempi e finanziamenti certi e obiettivi misurabili per la decarbonizzazione e per la messa in sicurezza delle aree.
Richieste immediate
Oggi, considerato il piano presentato dal Governo ai sindacati in cui l’unica certezza sono le migliaia di lavoratori che saranno messi in cassa integrazione, senza alcuna garanzia sulle prospettive industriali di decarbonizzazione, rilanciano con cinque richieste immediate:
1.Istituzione di un Tavolo nazionale vincolante Governo-Regioni-Sindacati-
un meccanismo di governance multi-stakeholder dei processi che preveda un coinvolgimento attivo delle comunità locali nelle decisioni che riguardano il futuro del territorio;
ole garanzie occupazionali (piani di reindustrializzazione e politiche attive del lavoro);
2.Creazione di un nuovo soggetto imprenditoriale controllato dallo Stato, come unico soggetto capace di garantire una effettiva decarbonizzazione, la diversificazione produttiva, le bonifiche e la tutela occupazionale
3.Definizione di un Piano di decarbonizzazione credibile e con finanziamenti certi che preveda la realizzazione entro il 2030 di nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio, con la contemporanea progressiva dismissione di altoforni e cokerie, e di un impianto per la produzione di ferro preridotto (DRI), escludendo qualsiasi ricorso a impianti di rigassificazione;
4.Accelerare gli investimenti sulle filiere industriali delle fonti rinnovabili e dell’idrogeno verde per ridurre al minimo gli impatti su clima, ambiente e, soprattutto, sulla salute dei lavoratori e delle lavoratrici, dei cittadini e delle cittadine che vivono vicino agli stabilimenti oltre a creare posti di lavoro aggiuntivi per far fronte alla minore intensità di manodopera dei processi elettrificati;
5.Utilizzo immediato dei fondi nazionali e comunitari di scopo e coinvolgimento delle istituzioni europee e delle banche di sviluppo per mettere insieme una piattaforma mista di finanziamento (sovvenzioni, prestiti agevolati, garanzie) che consenta una transizione industriale sostenibile, senza ricadute sociali drammatiche e in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC).Perché è necessario agire così
Respingiamo il ricatto tra “salvare i posti di lavoro” e “salvare l’ambiente e la salute”: la sola via praticabile è una transizione pianificata e partecipata che combini tutela sociale e sanitaria e trasformazione tecnologica. Senza un piano credibile di decarbonizzazione e senza investimenti strutturali si rischia sia la perdita di posti di lavoro sia un aggravarsi dell’impatto ambientale e sanitario sul territorio. Dopo anni di sacrifici enormi sopportati dalla popolazione delle città coinvolte, al danno si aggiungerebbe la beffa del deserto occupazionale e della fuga dalle responsabilità imprenditoriali. E ciò non è accettabile.
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