Rigassificatore: quel che Tondo non dice
COMUNICATO STAMPA Udine, 10 maggio 2012
Tondo continua ad immaginarsi un decisionista che tutto può in materia di insediamenti energetici e di infrastrutture viarie.
Ne va del suo programma di governo attuale e della sua prossima campagna elettorale.
Ma forse la geografia, le noiose “procedure”, l’innovazione tecnologica ed i mercati non gli danno proprio ragione.
La recente presa di posizione del presidente Tondo favorevole all’impianto di rigassificazione di Zaule – senza per altro che l’istituzione abbia mai modificato negli anni un parere interlocutorio risalente ancora alla giunta precedente sullo studio d’impatto ambientale – stona con la denuncia d’inadempienza sull’accordo di programma nei confronti di Teseco, proprietario dell’area dell’ex Aquila. Non si può negare come risulti strumentale questa posizione: ostacolare il progetto di terminale ro-ro proprio all’imboccatura del Canale industriale è indubbiamente un favore a Gas Natural, perché il terminale e la piattaforma logistica, per cui recentemente il governo, attraverso il Cipe, ha stanziato 32 milioni, e localizzata fra l’ex scalo legnami e la Ferriera di Servola, costituiscono due aree finalizzate all’ampliamento e allo sviluppo delle attività portuali che mal si legano con un inserimento intermedio di un impianto di rigassificazione.
Effettivamente 100 navi gasiere nell’arco di un anno che dovessero bloccare per 200 giorni le attività portuali si sposano male con l’incremento di traffico navale che si realizzerebbe con le due piattaforme.
Allora si dovrebbe concludere che al presidente Tondo lo sviluppo delle attività commerciali del Porto di Trieste non interessa proprio.
Inoltre il presidente Tondo dimentica che sono presenti cinque ricorsi al Tar del Lazio sul decreto di compatibilità ambientale dato a suo tempo dall’ex ministra dell’ambiente del governo berlusconiano. Forse proprio questa consapevolezza rende più prudente sul tema il ministro Clini, quando sottolinea come abbia una sua valenza la posizione contraria del Comune di Trieste, espressa da quasi tutto il consiglio sul progetto definitivo di Gas Natural. Chissà se il presidente Tondo si è mai preoccupato di leggere i contenuti dei ricorsi.
Secondo noi, due sono gli aspetti ancora trascurati nelle valutazioni della compatibilità dell’impianto con il territorio triestino, ma ribaditi nel decreto comunale di contrarietà all’impianto espressa nei confronti del progetto definitivo, che tanto definito non deve essere se la Conferenza dei servizi è stata sospesa proprio per la mancanza di documentazione aggiornata.
Il primo degli aspetti trascurati sono l’analisi del rischio, che non è approfondito nella documentazione nemmeno nel progetto definitivo, rispetto alle conseguenze di incidenti rilevanti nell’impianto o nella fase di avvicinamento delle gasiere all’impianto. Manca l’approfondimento degli effetti e delle conseguenze del peggiore caso possibile o di un possibile attentato terroristico con liberazione di una nube fredda di gas e della sua accensione o esplosione – possibile in aree confinate o semiconfinate – che possono essere valutate utilizzando le simulazioni offerte dai modelli della Fluidodinamica computazionale che sono di uso comune in progetti analoghi negli USA.
Il secondo degli aspetti è una non valutazione delle conseguenze economiche di una tale tipologia d’impianto. Come abbiamo sottolineato più volte gli impianti onshore, quelli offshore fissi e i FSRU (Floating storage and regasification unit, ovvero Unità galleggiante per lo stoccaggio e la rigassificazione, nave ancorata al largo dotata di serbatoi criogenici e di impianto di rigassificazione collegata con una pipeline a riva, nei cui serbatoi le gasiere scaricano il gas naturale liquefatto) godono in Italia di incentivi che, fino ad adesso, garantiscono più del 70% dei ricavi, che andrebbero al gestore dell’impianto, calcolati rispetto alla massima potenzialità di rigassificazione pari a 8 miliardi di metricubi di gas all’anno. Incentivi ricavati dalle tariffe e spalmati quindi sulle bollette degli utenti da parte degli enti distributore del gas.
E questo anche se nemmeno una goccia di GNL dovesse arrivare a Trieste, ipotesi plausibile vista la concorrenza internazionale e dato che la potenzialità mondiale di liquefazione è meno della metà di quella degli impianti di rigassificazione e che i liquefattori operano adesso più o meno a metà della loro capacità produttiva. Dove sta il rischio d’impresa?
Sempre ragionando il termini economici il traffico delle gasiere inciderebbe negativamente su traffici portuali, perché prima o poi anche all’impianto di rigassificazione di Zaule andrebbero applicati i criteri della Internazional Maritime Organization (organizzazione dell’ONU) che sono stati recepiti come prescrizioni dalla Capitaneria di Chioggia relativamente all’offshore di Porto Viro e che prevede una zona di sicurezza di 2 chilometri di raggio attorno all’impianto, area in cui sono permanentemente vietati il transito, l’ancoraggio, lo stazionamento di navi in attesa…e qualsiasi altra attività.
Allora il presidente Tondo s’informi, altrove gli impianti di rigassificazione fissi e stazionari sono un retaggio del passato. Se un piano energetico dovesse ritenere indispensabile l’importazione di GNL in una certa area marina l’unica soluzione ritenuta valida – e che in più non gode di incentivi – è ormai quella che prevede gasiere che hanno a bordo l’impianto di rigassificazione (impianto che occupa una parte moto limitata sulla tolda della nave) che può funzionare sia a circuito aperto (acqua marina) sia a circuito chiuso con scambiatori di calore che utilizzano il gas di boiloff dei serbatoi criogenici. Multinazionali come l’Excelerate Energy e la Höegh stanno cantierando in Korea gasiere da 260 mila ton, con una ben maggiore capacità di trasporto rispetto a quelle attuali, ma che proprio per le loro elevate dimensioni devono operare al largo. Le navi LNGRV o EBRV (navi che rigassificato il GNL o navi rigassificatrici con ponte energetico) sono dotate di un’apertura nella chiglia in cui viene inserita una boa (Submerged Turret Mooring) che normalmente staziona sul fondo marino, che riceve il gas dagli scambiatori di calore, dotata dei controlli necessari a gestire il flusso del gas in un gasdotto flessibile che fa parte del sistema di collegamento alla pipeline che trasporta il gas nella rete nazionale.
Lino Santoro
Vicepresidente del Comitato scientifico
Legambiente FVG