Parco transfrontaliero della pace
Nel novembre 2018 Legambiente all’incontro trinazionale di Klagenfurt che celebrava i 100 anni dalla conclusione del primo conflitto mondiale fece la proposta di promuovere su quei territori che abbracciano 3 confini, il parco transfrontaliero della pace.
Intervistiamo Sandro Cargnelutti, presidente di Legambiente FVG, per fare il punto sul progetto:
Innanzitutto perché un parco della Pace?
Le alpi Giulie e Carniche conservano ancora le tracce della follia della guerra, mentre le persone e le comunità dimenticano. L’Unione mondiale per la protezione della natura (IUCN) ha individuato diverse modalità di cooperazione transfrontaliera in quelle che furono o che sono aree di conflitto: tra queste anche i parchi transfrontalieri della pace. Abbiamo pensato pertanto a un progetto per “non dimenticare” declinandolo al futuro.
Qual è lo scopo di questi parchi?
Coniugare la tutela della biodiversità con la promozione della cultura della pace e della cooperazione tra i popoli. In quell’area esistono già forme di collaborazione e cooperazione, ad esempio tra i 3 parchi (Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, il parco nazionale del Tricorno e il Parco del Dobratsch), progetti condivisi dai Club Alpini di Friuli Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia quali le Cime dell’Amicizia / Gipfel der Freundschaft / Vrhovi Prijateljstva o semplicemente incontri tra cittadini come la festa dell’Amicizia sul Monte Forno. Insomma un “terreno” fertile.
Cosa è successo dopo?
L’idea è stata accolta e si è costituito un gruppo di lavoro composto dalle direzioni dei 3 parchi , dal rappresentante Cipra Slovenia, dal dipartimento Affari europei e internazionali della Carinzia, dall’ONG trilaterale del Club Tre Popoli e da noi. Sono emerse diverse piste di lavoro.
Il parco della pace è innanzitutto un progetto culturale. Cosa avevate immaginato di realizzare in concreto?
Una delle proposte ipotizzata per il 2020 era far incontrare giovani della nostra regione, della Carinzia e della Slovenia a vivere una esperienza insieme, magari all’interno dei parchi per riflettere su questi temi, alimentare relazioni e promuovere il dialogo. Insomma fare strada insieme, superando, in primis, le differenze linguistiche. Però il coronavirus ha reso impossibile questo.
Che senso ha questa operazione in tempi di pandemia?
I conflitti odierni hanno quasi sempre legati all’uso di risorse che diventano sempre più scarse e degradate. C’è un forte intreccio ciò tra degrado della natura, conflitti e… pandemie. Bisogna coniugare la tutela della natura e la promozione della cultura della pace. Sono soprattutto i giovani gli interpreti di questa tenuta insieme dei due corni del problema. È quel territorio si presta perché mantiene ancora la memoria “nella pietre” dei conflitti, della guerra fredda e… di un paesaggio straordinario.
Qual è il vostro sogno nel cassetto?
Un centro di servizio civile transfrontaliero, magari utilizzando strutture militari dismesse per far fare ai giovani dei paesi confinari esperienze di volontariato e di crescita sui temi della pace, della solidarietà e della tutela della biodiversità. Mi sembra che è una delle idee condivise. È un progetto che se realizzato ha ricadute nelle aree interne che nella fase del post-emergenza dovranno esercitare un ruolo sicuramente più significativo dell’attuale, per le opportunità che si aprono.
La redazione