Perchè no alla diga sull’Isonzo
L’Isonzo è un tubo in cui scorre dell’acqua. Potrebbe essere il “pensierino” di un bimbo che frequenta la seconda elementare. Invece è la valutazione comunemente adottata da molti dei soggetti che si sono occupati e si occupano del fiume, che vi hanno costruito opere di utilità pubblica e privata, che vi stanno progettano nuovi interventi. I cittadini sono relegati in ultima fila a guardare. Io vorrei parlarne sia a quelli interessati, che sono molti, sia a quelli che di solito guardano altrove.
E’ di estrema importanza che si conoscano i motivi per cui un’opera imponente come la nuova diga (900.000 metri cubi), ventilata e progettata dal Consorzio Bonifica pianura isontina, mi trova in disaccordo sia come cittadina che come ambientalista.
L’Isonzo non è solo acqua che scorre in un letto di ghiaia, ma è un “sistema fluviale” ecologicamente delicato e complesso costituito da diverse componenti, tra cui le sponde ed il territorio circostante che interagiscono strettamente con il fiume stesso. Vanno rispettati alcuni concetti base, ci dice la scienza: la continuità, il ritmo di piena, la discontinuità. E’ abbastanza intuitivo il fatto che le discontinuità compromette la funzionalità del fiume, la ricerca scientifica ha dati a sufficienza per gli increduli (Odum e Barret, 2006). Tra le opere dell’uomo che compromettono la vitalità del fiume e quindi la sua funzionalità ci sono: canalizzazioni, costruzione di dighe, aumento dell’inquinamento. Evito l’approfondimento accademico e vado al concreto: oltre alle dighe lungo il corso sloveno, in Italia nel tratto tra il confine e Farra d’Isonzo ci sono ben tre centrali elettriche attive (Iris altezza passerella, S. Andrea, Fantoni), inoltre il canale del Consorzio di Bonifica attinge acqua a scopi agricoli.
Se è evidente che il fiume non abbisogna di ulteriori interruzioni alla sua già precaria continuità – per noi goriziani è ormai più un lago che un fiume – non sono altrettanto evidenti ai più le necessità energetiche addotte per la costruzione di una nuova diga. Inoltre, se è vero che il Consorzio ha operato (dato portato alla tavola rotonda del 4 maggio organizzata da Legambiente) lodevoli riduzioni del 70% nell’utilizzo dell’acqua grazie ai nuovi sistemi di irrigazione non più a scorrimento e se è stata pattuita, all’interno della Commissione bilaterale per l’idroeconomia riunitasi il 19 maggio, tra i Ministeri degli esteri italiano e sloveno una maggiore e più regolare portata d’acqua non ancora operativa, allora una diga utile anche ai soli fini irrigui potrebbe venir superata nei fatti. I bisogni della collettività goriziana e isontina sono in realtà minori di quanto i piani industriali regionali progettano soprattutto se fatti in mancanza del Piano Regionale di Tutela delle Acque, ad oggi mancante. Siamo sì utili consumatori, ma prima di tutto umani conviventi con eventi e natura. Mai come in questi ultimi anni l’Isonzo ed i corsi minori, sempre più di frequente asciutti da far pena, ci parlano non di apocalissi ma di semplici mutamenti che non possiamo ignorare. Dobbiamo invece studiarli e con attenzione e insieme per capire come andare e dove.
Indispensabili: un gestore ecosostenibile del fiume (oggi tanti enti coinvolti ma slegati), un Museo Internazionale dell’Isonzo (promozione di ricerche e di studi in continuo, i dati accessibili a tutti, promozione della scienza e del turismo), il vicino Stato di Slovenia rispettoso dei patti sulle necessità concordate bilateralmente.
In allegato le analisi e considerazioni ambientali (naturalistiche, idrobiologiche, e geologiche) sulla prospettata traversa redatte da tre esperti.
Sonia Kucler