La raccolta differenziata da sola non basta
Si è conclusa da qualche giorno la terza edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, ma, naturalmente, l’impegno in questo campo non si esaurisce, anzi, l’occasione di questa campagna deve essere utile per trovare stimoli e idee e rinnovarsi tutti i giorni dell’anno.
Sul sito italiano dell’iniziativa si possono trovare un bilancio e molti spunti per agire.
La situazione della Carnia, nonostante l’avvio del servizio di raccolta “porta a porta” da parte della Comunità Montana, non è, infatti, per niente soddisfacente. Innanzitutto i costi del servizio di raccolta e smaltimento, nonostante la minor quantità di rifiuti che finiscono in discarica e l’impegno richiesto ai cittadini, continuano a salire, segno evidente che c’è qualcosa che non va.
In secondo luogo, pare che tutti si siano dimenticati che il primo obiettivo da perseguire è quello della RIDUZIONE dei rifiuti.
Le Amministrazioni Comunali possono fare molto sotto questo punto di vista.
Qui a seguire alcune riflessioni e dei suggerimenti pratici.
Legambiente: servono iniziative per ridurre i rifiuti
Dalla Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti tante proposte per i Comuni: dalle borse riutilizzabili per la spesa ai prodotti alla spina, dalle “sagre virtuose” ai mercatini dell’usato
Qual è la situazione della gestione dei rifiuti in montagna?
Dopo l’avvio scaglionato del servizio di raccolta differenziata “porta a porta” da parte della Comunità Montana, che ha coinvolto gradualmente tutte le vallate, i primi risultati sembrano dimostrare che i Comuni della Carnia stanno finalmente risalendo dal fondo della graduatoria regionale in cui erano ignominiosamente precipitati, in compagnia di Trieste, ormai da vari anni. Secondo alcune rilevazioni, Tolmezzo sarebbe passato dal 34 o 38% al 53% di raccolta differenziata, un risultato ancora lontano sia dal 76% che era stato annunciato come obiettivo, sia dall’obbligo del 65% fissato dalla legge per il 2012; secondo altre fonti (periodico Qui Conca) sarebbe invece già arrivato all’80%.
In attesa di una conferma e di un’attenta verifica di questi dati, resta comunque nei cittadini l’amara constatazione che, nonostante il miglioramento della situazione (che dovrebbe aver sensibilmente ridotto la quantità di rifiuti destinata alle discariche ed il relativo onere finanziario) e nonostante l’aggravio di impegni sopportato dalle famiglie, la tariffa di igiene ambientale (in poche parole, quello che ognuno di noi deve pagare per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti) non solo non cala, ma addirittura aumenta (a Tolmezzo di quasi il 7% nel corso del 2011). Insomma, l’impressione è che, dopo tutte queste novità e i cambiamenti introdotti nelle nostre abitudini, a guadagnarci siano sempre i soliti ….
La questione va quindi approfondita. Per cominciare, è giusto affermare che il valore percentuale ottenuto nella raccolta differenziata stabilisce il livello qualitativo raggiunto nella gestione dei rifiuti? Secondo Marco Lepre, presidente del circolo di Legambiente, la percentuale di raccolta differenziata è certamente un indicatore molto importante, ma, da solo, non è sufficiente a definire la situazione. Esso va, infatti, rapportato ad almeno altri due dati: la “qualità” dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata e la produzione pro-capite di rifiuti che si ha in un determinato territorio.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è abbastanza intuitivo che, se la raccolta differenziata viene fatta bene, si possono ottenere vantaggi o risparmi dal recupero dei materiali separati; mentre un prodotto che presenta varie percentuali di “impurità” costringe ad ulteriori lavorazioni o addirittura vanifica gli sforzi effettuati. Si tratta, evidentemente, di un aspetto “delicato”, in quanto la negligenza di pochi può compromettere l’impegno di molti. Ora, la caratteristica principale e il vantaggio che consente il sistema “porta a porta” rispetto agli altri (quelli, ad esempio, che utilizzano contenitori stradali) è dato dalla possibilità di controllare puntualmente la qualità e la “purezza” delle tipologie di rifiuti conferiti. Se questo controllo non viene effettuato, ad esempio, perché non c’è un interesse “diretto” da parte della ditta che gestisce il servizio, il rischio è che tutto diventi inutile o quasi.
Secondo Legambiente, in montagna non solo si è tardato troppo nel far partire un tipo di soluzione che aveva già dimostrato di dare importanti risultati in tante parti d’Italia, ma, a questa importante modifica nel sistema di raccolta, non è seguito un profondo cambiamento di impostazione, che premiasse con costi minori i comportamenti più virtuosi e i risultati migliori. In sostanza, si dovevano introdurre incentivi o forme di penalizzazione economica – tanto nei confronti della ditta che effettua il servizio, tanto nei confronti degli utenti – in modo che venissero favoriti i comportamenti più corretti sotto il profilo ambientale e del risparmio energetico.
L’altro elemento essenziale per “qualificare” il dato percentuale di raccolta differenziata è la quantità di rifiuti pro-capite che vengono prodotti. Anche in questo caso è abbastanza evidente che, ai fini dell’impatto sull’ambiente e per la definizione del costo che i cittadini devono pagare, un conto è ragionare su 200 kg di rifiuti all’anno per ogni abitante, un altro su una cifra due o tre volte superiore. Alla fine, ad incidere pesantemente sul costo del servizio non è un valore percentuale, ma la quantità effettiva di rifiuti da conferire in discarica o in un impianto di trattamento. Per avere una esatta valutazione della quantità di rifiuti che vengono prodotti, non ci si può però limitare a quelli correttamente conferiti, ma appare indispensabile una verifica della presenza o meno nel territorio di discariche abusive, in quanto gli smaltimenti illeciti, sfuggendo al computo ufficiale, rischiano di inficiare questo tipo di statistiche, pur comportando un notevole costo ambientale e sociale.
La sensazione è, dunque, quella che molte cose siano ancora migliorabili e che, soprattutto, sia necessario l’impegno di tutti: cittadini e amministrazioni comunali in primis, che non possono, una volta affidata la delega per la gestione del servizio alla Comunità Montana, disinteressarsi o lavarsi le mani. Per il presidente del circolo di Legambiente, quello che si è trascurato in particolare è la prima cosa da fare, la necessità di ridurre la quantità dei rifiuti, “esigenza tanto più fondamentale in un territorio montano, caratterizzato dalla dispersione dei centri abitati, in cui le distanze da percorrere con i mezzi di raccolta, le caratteristiche delle strade e le difficoltà aggiunte dalla cattiva stagione, unite alla non idoneità ad ospitare discariche, comportano costi più elevati rispetto alla pianura o alle città”.
Nel 2010 ogni cittadino italiano ha prodotto in media 512 kg di rifiuti, una quantità enorme, che, come nel caso degli imballaggi inutili, gli spesso ignari consumatori sono costretti a pagare due volte: al momento dell’acquisto del prodotto nel negozio e sotto forma di rifiuto da smaltire poi. Questa autentica montagna potrebbe essere sensibilmente ridotta se solo si introducessero comportamenti e scelte più responsabili nei consumi: ad esempio, utilizzando le borse per la spesa riutilizzabili al posto dei sacchetti di plastica (compresi quelli definiti più o meno bio-degradabili); acquistando prodotti “alla spina”, invece che in contenitori “a perdere”; rinunciando all’utilizzo di acque minerali in favore di quella del rubinetto; sostituendo i pannolini “usa e getta” con quelli lavabili; etc., etc..
C’è poi l’assurdità dello spreco di beni considerati rifiuti solo perché a noi non servono, mentre potrebbero benissimo essere utili per altre persone e che finiscono in un cassonetto, invece che in un mercatino dell’usato: l’esempio più semplice è quello di un servizio da tè o da caffè in buone condizioni, che viene sostituito perché con gli anni sono venuti a mancare dei pezzi, ma che andrebbe benissimo per una famiglia meno numerosa. In varie parti d’Italia ci sono numerosi esempi di cooperative di giovani – e quindi di nuovi posti di lavoro – sorte con lo scopo di ritirare e rimettere in circolo questi beni, che erroneamente finiscono tra i rifiuti.
Un ultimo aspetto che merita essere ricordato riguarda i rifiuti organici. Dato il loro contributo in termini di peso sul totale dei rifiuti solidi urbani e considerate le loro caratteristiche (putrescibilità e quindi insorgenza di cattivi odori), la raccolta differenziata e possibilmente il compostaggio domestico di questa tipologia di sostanze è giustamente considerata un obiettivo prioritario da perseguire. È strano, però, che la raccolta differenziata della frazione organica non venga effettuata proprio in uno dei luoghi in cui quest’ultima è prevalente e più facilmente separabile: nei camposanti. Da noi, fiori e piante secche con la loro terra continuano ad essere mescolati nei cassonetti assieme ai lumini e alla plastica dei vasi o dei fiori finti: un’assurdità. Basta girare nelle vicine Carinzia e Slovenia, per rendersi conto che non solo ci sono contenitori differenti per la raccolta dei vari rifiuti, ma che spesso esistono piccoli impianti di compostaggio all’interno degli stessi cimiteri: un riciclaggio a “chilometro zero”, con tutti i risparmi e i vantaggi che si possono immaginare.
L’occasione della terza edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, che si è svolta nel nostro Paese con l’Alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e che vede anche Legambiente tra i promotori, è stata utilizzata in Carnia per lanciare anche un’altra proposta; parliamo di “Sagre virtuose”, un concorso che è nato qualche mese fa, seguendo l’esempio di quanto positivamente è già stato realizzato in altre regioni per contenere la produzione di rifiuti in questo particolare settore.
Non è semplice calcolare esattamente quante siano le manifestazioni con distribuzione di alimenti che si organizzano durante l’anno in Carnia: una quarantina sono solo le principali, ma non è difficile immaginare che quasi ogni centro abitato abbia la sua festa. Tutti sappiamo quanto queste iniziative siano importanti, non solo per mantenere vive le tradizioni e le comunità, ma anche in chiave turistica. La proposta di piatti e prodotti gastronomici – dai Cjarsons nelle sue tante varianti agli gnocchi di zucca, dalla Mesta e busa al frico, dai fasui alla brovada e muset, senza dimenticare il prosciutto di Sauris – è diventato indiscutibilmente un elemento di attrazione per migliaia di visitatori. Le sagre e le rassegne gastronomiche sono però anche un’occasione in cui si producono molti rifiuti (basta pensare ai piatti, ai bicchieri e alle posate di plastica) e in cui anche effettuare la raccolta differenziata diventa problematico.
Il concorso “Sagre Virtuose”, che Legambiente ha lanciato nella nostra regione dalla scorsa estate, ha lo scopo di rendere più “sostenibili” sotto il profilo ambientale e quindi più gradevoli e simpatiche anche ai turisti, queste manifestazioni. Basta poco, infatti, per qualificarsi di fronte agli occhi degli ospiti; sarebbe sufficiente, ad esempio, proporre ai tavoli l’ottima acqua delle nostre fonti al posto di quella delle bottigliette in plastica, magari prelevata dal sottosuolo di Marghera e costretta a fare un sacco di chilometri in autostrada a bordo di inquinanti TIR. Oppure eliminare o contenere lo spettacolo di sacchi neri sempre strapieni di ogni genere di scarto. In un contesto rispettoso dell’ambiente, con l’eliminazione dei rifiuti, anche le nostre specialità si apprezzerebbero con più soddisfazione.
Il concorso si basa sull’adesione volontaria da parte degli organizzatori e premia con un marchio di qualità le sagre in cui: si utilizzano stoviglie lavabili e riutilizzabili, oppure realizzate in materiali compostabili; si riduce l’impiego di bottiglie usa e getta; si differenziano i rifiuti; si propongono prodotti agricoli locali; si prevede il recupero della frazione organica; etc.. Quelli che, in un primo momento, possono sembrare insormontabili problemi pratici hanno trovato in centinaia di esperienze diffuse nel nostro Paese la giusta soluzione. Una maggiore spesa iniziale per dotarsi dell’attrezzatura di servizio riutilizzabile, viene rapidamente ammortizzata con il risparmio sul mancato acquisto di prodotti “usa e getta”.
La speranza è che presto anche da noi i primi esempi di sagre “virtuose” vengano imitati e replicati, anche perché in questo modo si accresce la sensibilità e la coscienza dei cittadini. L’azione che la Comunità Montana e gli stessi Comuni potrebbero svolgere in questo quadro sarebbe molto utile: dai contributi finalizzati alla riduzione dei rifiuti, alla messa a disposizione di lavastoviglie e set di stoviglie riutilizzabili per le manifestazioni con minor afflusso. Dalla riduzione dei rifiuti e dal rispetto dell’ambiente abbiamo solo che ottenere benefici. Auguriamoci che lo capiscano anche i nostri amministratori locali.
Circolo Legambiente della Carnia
Si è conclusa da qualche giorno la terza edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, ma, naturalmente, l’impegno in questo campo non si esaurisce, anzi, l’occasione di questa campagna deve essere utile per trovare stimoli e idee e rinnovarsi tutti i giorni dell’anno.
Sul sito italiano dell’iniziativa (http://www.ecodallecitta.it/menorifiuti/) potete trovare un bilancio e molti spunti per agire.
La situazione della Carnia, nonostante l’avvio del servizio di raccolta “porta a porta” da parte della Comunità Montana, non è, infatti, per niente soddisfacente.
Innanzitutto i costi del servizio di raccolta e smaltimento, nonostante la minor quantità di rifiuti che finiscono in discarica e l’impegno richiesto ai cittadini, continuano a salire, segno evidente che c’è qualcosa che non va.
In secondo luogo, pare che tutti si siano dimenticati che il primo obiettivo da perseguire è quello della RIDUZIONE dei rifiuti.
Le Amministrazioni Comunali possono fare molto sotto questo punto di vista.
In allegato trovate alcune riflessioni e dei suggerimenti pratici.