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Monfalcone: Il futuro della centrale a carbone non può essere ancora “fossile”

Con le osservazioni alla VIA inviate al Ministero dell’Ambiente in relazione al progetto di modifica della centrale termoelettrica di Monfalcone (GO) di proprietà di A2A Energiefuture S.p.A., attualmente alimentata a carbone, per la quale è prevista la alimentazione a gas naturale, Legambiente ha ribadito la propria contrarietà alla prosecuzione di una politica energetica fondata sui combustibili fossili.

Nella premessa si sottolinea l’allarme del mondo scientifico in relazione alla progressione degli eventi climatici sempre più preoccupanti che continuano a coinvolgere vaste aree del pianeta. Il fenomeno richiede un immediato e non rinviabile impegno da parte di tutti verso una decarbonizzazione energetica in tutti i settori.

Dopo l’accordo sul Clima di Parigi, i recenti negoziati di Bruxelles premono nella direzione di innalzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. Questo comporta la necessità di puntare in maniera decisa su fonti rinnovabili, sistemi di accumulo ed efficienza energetica, piuttosto che continuare a focalizzare l’attenzione sul metano e sul suo presunto ruolo quale fonte di transizione.
Nel documento, Legambiente sostiene che la realizzazione di un nuovo impianto a metano, in sostituzione delle sezioni alimentate a carbone dell’attuale centrale A2A di Monfalcone, appare del tutto immotivata, stante il fatto che le centrali alimentate a metano costruite negli ultimi due decenni costituiscono, in termini di potenza installata, una disponibilità quasi doppia (115.000 MW) rispetto alle richieste della rete elettrica (58.219 MW a luglio 2019, fonte Terna). E’ del tutto evidente che per compensare la chiusura delle centrali a carbone sarebbe sufficiente aumentare le ore medie annue di esercizio delle centrali a gas esistenti da 3.261 a 4.000 ore.
Va però sottolineato che Legambiente giudica tale scenario poco auspicabile, perché comporterebbe un inevitabile aumento dei consumi di gas naturale. In ogni caso, è la prova che la chiusura delle centrali a carbone non richiedono alcuna nuova realizzazione di nuovi impianti.

L’introduzione del “Capacity Market”, che attraverso una remunerazione economica aggiuntiva, mira ad agevolare e rendere più competitive sul mercato le centrali programmabili (ovvero le centrali termoelettriche a gas) sembra essere la via sbagliata che considera esclusivamente un modello di produzione ancora basato sui combustibili fossili. Sarebbe invece più lungimirante, per mantenere in sicurezza la rete e garantire il servizio di alimentazione elettrica, puntare sullo sviluppo della capacità di accumulo nel nostro Paese, valorizzando anche i pompaggi idroelettrici già esistenti.

Il progetto sembra orientato a giustificare, dal punto di vista tecnico, la necessità della nuova realizzazione, ma si segnalano incongruenze e aspetti elusivi che si sommano all’errore originario basato sulla convinzione che l’unica alternativa al carbone sia il ricorso al gas naturale, non volendo intravvedere concreti scenari alternativi più in linea con l’urgenza di procedere speditamente verso la decarbonizzazione del sistema energetico in Italia.

 

Le osservazioni puntuali al progetto riguardano numerose affermazioni e citazioni che Legambiente ritiene di contestare. In particolare:

  • Viene dichiarato che l’efficienza energetica della centrale raggiungerà un rendimento elettrico del 62,3%. Nella tabella sulle Efficienze medie centrali termoelettriche in Italia 2017, per quelle a ciclo combinato a gas naturale il dato è 58% (Documento di descrizione degli scenari 2019” – Snam, Terna)
  • Si afferma che le emissioni di CO2 saranno ridotte ad un terzo; se va riconosciuto che con il gas naturale le emissioni di CO2 per MWh si riducono di circa due terzi in realtà, considerata la potenza installata (circa 860 MW, al posto degli attuali 336 MW), la quantità di CO2 emessa sarà la stessa. Si osserva che il dichiarato obiettivo di contenere le emissioni di CO2 non viene raggiunto.
  • Nel citare la proposta del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) inviata dall’Italia alla Commissione europea a dicembre 2018, non viene messo in evidenza che l’accelerazione del percorso di decarbonizzazione del settore energetico al 2030 (tappa intermedia) ed al 2050 (completamento di tale processo) non si riferisce solo al carbone ma a tutte le fonti emissive di CO2. Viene segnalato che la proposta di una nuova centrale a metano, che entrerebbe in esercizio tra alcuni anni, non è coerente con i propositi annunciati nel PNIEC;
  • Mentre, ad un certo punto, viene sottolineata la prossima forte espansione delle rinnovabili e la necessità di provvedere rapidamente all’attivazione di sistemi di accumulo, sia utilizzando i sistemi di pompaggio da idroelettrico che i (testualmente) “sempre più vantaggiosi sistemi distribuiti di generazione fotovoltaica con batteria…”, si rileva che tali strategie, ampiamente percorribili, alternative al grandi impianti a combustibili fossili, non vengono esplorate.
  • Si rileva una insanabile contraddizione con il Piano Regolatore Generale Comunale, laddove viene riportato che: “Per la Zona D, comprendente le aree destinate ad attrezzature ed impianti adibiti ad attività produttive, l’art 14 comma 4 delle NTA stabilisce che non siano ammessi nuovi insediamenti per la produzione di energia fatti salvi gli impianti che utilizzino fonti di tipo eolico, idrico, solare e trattamento di alghe”;
    Si ritiene che l’ipotesi sostenuta dal A2A, di considerare il progetto una sorta di modifica dell’esistente e non un nuovo insediamento sia del tutto impropria; in realtà viene creata una nuova centrale di produzione di energia che prevede lo smantellamento di quella attualmente in esercizio e la realizzazione ex novo di un impianto con caratteristiche molto diverse: diversa collocazione nell’area, diversa alimentazione, realizzazione di un gasdotto…
  • In riferimento agli interventi finalizzati alla realizzazione del metanodotto nell’area che rientra nel territorio del “Parco Comunale del Carso Monfalconese”, viene prevista la “necessità di conservazione e di incremento della popolazione di Zeuneriana marmorata”, specie endemica minacciata di estinzione, ma si osserva che manca una definizione più precisa degli interventi che si prevedono di realizzare.
  • In relazione al progettato metanodotto, che prevede l’attraversamento del Canale dei Tavoloni, Legambiente segnala che insiste su un’area vincolata dal D.Lsg 42/2004 art 142, per cui è stata redatta una Relazione Paesaggistica come previsto dall’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, l’Allegato C, che a un certo punto, afferma: “I progetti degli interventi si conformano alle seguenti prescrizioni d’uso : a) Non sono ammissibili: […omissis…] 11) realizzazione di gasdotti, elettrodotti, linee telefoniche o elettriche e delle relative opere accessorie fuori terra;
    Il tracciato del metanodotto interferisce anche con l’Ambito di paesaggio 12 (costa e laguna): dove non sono ammessi interventi di riduzione delle pinete di pino nero e di origine secondaria, interventi che causino alterazione (eliminazione) della composizione vegetale del sottobosco;
  • Relativamente alle citate “Caratteristiche tecniche generali del nuovo impianto”, si afferma che la realizzazione dell’impianto avverrà in due fasi: la prima, a ciclo aperto (TG) (vero obiettivo della nuova centrale per poter accedere al meccanismo del “Capacity market”) e solo successivamente il ciclo combinato che, in mancanza di una richiesta di energia (come probabile) potrebbe non essere realizzato
  • Per quanto riguarda i Tempi di realizzazione, si stima che la costruzione dell’impianto dovrebbe avvenire in tre anni, ai quali vanno aggiunti i tempi necessari per l’acquisizione di tutte le autorizzazioni previste (almeno un anno). Si osserva che la progressiva accelerazione del cambiamento climatico e le conseguenti politiche europee e nazionali per tentare di arginare il fenomeno, saranno orientate, nei prossimi anni, a penalizzare il ricorso ai combustibili fossili, privilegiando, anche con il ricorso a meccanismi sanzionatori sulle emissioni di CO2 (carbon tax), la produzione energetica da fonti rinnovabili, efficientamento energetico e sistemi di accumulo (Storage). Si intravvede il rischio di realizzare un impianto industriale obsoleto e fuori mercato già al momento dell’entrata in esercizio.
  • In merito alle Alternative di progetto, si sottolinea che il rendimento previsto per la configurazione a ciclo aperto (OCGT, 41,9%) non si discosta in modo significativo dall’attuale rendimento della centrale a carbone (36,4%). Se, come ipotizzabile, la configurazione a ciclo aperto sarà quella maggiormente utilizzata (per le caratteristiche, più volte citate, di garantire l’entrata in funzione rapida in caso di richieste della rete elettrica), non si ravvisa un significativo miglioramento del rendimento complessivo.
    Manca, in definitiva, una realistica opzione progettuale alternativa.

In allegato le osservazioni complete: Osservazioni al progetto di modifica della centrale termoelettrica di Monfalcone

 

Legambiente del Friuli-Venezia Giulia APS
Legambiente circolo “Ignazio Zanutto” APS Monfalcone