Legambiente contro la nuova cava a Remanzacco
Comunicato stampa 20 aprile 2015
Legambiente si esprime sul progetto di nuova cava a Remanzacco:
Un progetto di cava per 1 milione 800 mila mc in un’area per cui la pianificazione comunale ha cambiato troppe volte la destinazione urbanistica. Un progetto di ripristino uguale a quello, mai realizzato, della cava già esaurita e confinante.
Il Consiglio comunale di Remanzacco ha recentemente deliberato una variante al Piano regolatore, trasformando una zona agricola in zona destinata ad attività estrattive. Si tratta di 22 ettari per 1 milione 800mila metri cubi sulla sponda sinistra del Torre, territorio già costellato di cave, discariche e zone industriali.
Va premesso che la gestione del territorio necessita di un approccio serio, che parta da una visione generale di rispetto e di eventuale utilizzo sostenibile in un’ottica che, nel caso del prelievo e utilizzo di inerti, non può essere solo comunale, a maggior ragione con l’avvio della prospettiva dell’Unione di Comuni.
A tal proposito, ad esempio, l’Amministrazione limitrofa di Pradamano, dove aree varie sono già state allagate o sono a rischio di esondazione, si è preoccupata, prima di svendere il proprio territorio ai consorzi di cavatori, di coinvolgere la Regione per progetti di messa in sicurezza, senza farsi irretire dalle promesse di risarcimenti una volta “scappati i buoi”.
L’idea di futuro che per la destinazione di quest’area è stata proposta negli anni ai cittadini di Remanzacco è quanto mai contraddittoria. In pochi anni lo stesso territorio è stato pensato come parco naturale del Torre e come tale inserito nella pianificazione regionale e poi fortemente ostacolato dal mondo venatorio; poi la Provincia di Udine ha caldeggiato l’apertura di una discarica di inerti; è quindi ritornata a essere una zona agricola E4 con valenze naturalistiche (prati stabili) e paesaggistiche riconosciute con apposita variante urbanistica; ora la “vocazione estrattiva” ritorna prepotente.
Tra la cava esistente e quella che si vorrebbe c’è poi una zona, quella degli “scavi di S. Martino”, nella quale da oltre dieci anni si effettuano campagne di scavi archeologici che, presentati a più riprese come testimonianza dell’interesse dell’Amministrazione verso la storia e l’ambiente locali diventeranno uno “specchietto per le allodole” con l’avvio della cava in progetto.
Dagli stessi attori, amministratori e cavatori, è già stata gestita una cava adiacente (S. Martino 1 per 850 mila metri cubi estratti) a quella oggi prevista, che non è mai stata oggetto di vero ripristino. E tuttavia si prosegue con progetti di coltivazione di una nuova cava, oggetto dell’attuale delibera, del doppio più grande, più profonda, più prossima al Torre. E inoltre si pretende che questa cava sia una grande opportunità ambientale, perché il progetto di ripristino – a conclusione del lavoro – distribuisce a piene mani alberi, prati stabili, orti urbani e percorsi sportivi… dopo aver distrutto quel che c’è già. Tutte cose, si vuole ricordare, già previste anche nel progetto di ripristino della cava precedente e mai realizzati.
Deliberare una variante così significativa e di così forte impatto, in assenza di determinazioni regionali di pianificazione dei fabbisogni e delle zonizzazioni delle attività estrattive, trascurando le attività in corso di definizione sul rischio di alluvioni ed esondazioni e dell’applicazione della direttiva comunitaria 98/2008, che prevede il recupero e riutilizzo del 70% degli inerti e solo il 30% derivante da nuove estrazioni entro il 2020, esprime una visione antica e miope del rapporto fra economia e risorse naturali.