Il retroscena del modello di governance di acqua e rifiuti proposto per il FVG
Documento congiuto presentato da:
CeVI – Centro di Volontariato Internazionale (componente del Comitato referendario FVG Acqua Bene Comune).
Legambiente Friuli Venezia Giulia onlus
Cordicom FVG – Coordinamento dei Comitati Territoriali e dei Cittadini associati del FVG
Udine, 18 febbraio 2016
Intervento all’audizione in merito alla proposta di legge n. 135 <Organizzazione delle funzioni relative al servizio idrico integrato e al servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani> IV Commissione permanente del Consiglio Regionale FVG
I comitati e le associazioni a difesa dell’acqua fin da prima, ma soprattutto dopo il referendum del 2011, hanno presentato a livello nazionale e a livello regionale le proprie proposte per una legislazione sull’acqua che risponda ai principi sanciti dall’esito referendario: gestione pubblica e al di fuori dalle regole del mercato e della concorrenza.
In particolare a livello regionale già nel dicembre 2011 è stata consegnata all’allora Presidente del Consiglio regionale la petizione per l’acqua pubblica sottoscritta da oltre 5.000 firme. In quella petizione si indicavano le nostre proposte di linee guida per la salvaguardia e per una gestione dell’acqua pubblica, partecipata e sostenibile.
Tutte proposte ignorate.
I problemi attuali legati alla salvaguardia e alla gestione dell’acqua nella nostra Regione sono noti e rilevanti. L’inquinamento e l’eccessivo sfruttamento delle acque superficiali e sotterranee, la carenza di conoscenze in merito alla consistenza e allo stato delle riserve idriche sotterranee, la carenza di conoscenze, innovazione e investimenti per l’ammodernamento del ciclo idrico integrato, solo per citarne alcuni, fino alle sanzioni dell’Unione Europea sulle carenze nel sistema di depurazione, che potrebbe costarci oltre 60 Mld di euro se non si interviene con urgenza e con risoluzione.
Molte delle nostre proposte avanzate anni fa sono tuttora valide per affrontare questi problemi e sono state presentate negli incontri che abbiamo avuto prima di questa audizione.
Noi sosteniamo e chiediamo che si debba partire da una legge quadro sull’acqua:
– che recepisca le indicazioni del piano di tutela delle acque (non ancora concluso)
– che preveda la realizzazione di bilanci idrici per ogni tratto di bacino idrografico e che preveda l’assunzione delle conoscenze che ancora mancano oggi sulle nostre risorse idriche e sul loro stato, soprattutto quelle sotterranee e sul Ciclo Integrato Idrico.
Questo quadro di conoscenze dovrebbe essere completato da normative che regolino tutti gli usi dell’acqua: agricolo, industriale, idroelettrico, potabile, ecc., oltre alla salvaguardia della risorsa; in questo quadro dovrebbe essere inserita la gestione e la governance del servizio idrico integrato in quanto parte integrante di un sistema regionale di salvaguardia e di gestione dell’acqua.
Il legislatore ha scelto un approccio diverso e non condivisibile. Invece di una legge quadro sull’acqua si è scelto di redigere una legge sulla governance del Servizio Idrico Integrato e della gestione dei rifiuti, due settori completamente diversi che necessitano di conoscenze e approcci diversi tra loro: una scelta che non viene peraltro adeguatamente giustificata. La gestione dei rifiuti sembra “quasi” una frettolosa aggiunta: infatti tra i principi che regolano la gestione della risorsa non si cita nemmeno la promozione dell’economia circolare, così come emerge dal quadro europeo e in qualche misura anche dal collegato ambientale licenziato nel dicembre scorso dalle camere.
In questo modo il legislatore ha rinunciato a cercare e sperimentare modelli di gestione dell’acqua adatti al nostro territorio che è caratterizzato da una grande diversità e disomogeneità per quanto riguarda la risorsa idrica e che richiederebbe pertanto gestioni diversificate se consideriamo la montagna, la pianura la bassa pianura, il Carso e le città.
Il modello di governance scelto da questa legge, attraverso l’istituzione dell’AUSIR è un modello accentratore, che allontana i centri decisionali dei territori, dai comuni e dei cittadini e diminuisce la democrazia del sistema.
Anche l’accorpamento tra gestori viene giustificato principalmente sulla base di criteri economici, come ad esempio la bancabilità degli investimenti, e non su criteri che rispecchino anche le esigenze socio-economiche, ambientali e culturali dei territori.
Tali scelte vengono giustificate sulla base dei “paletti” imposti dalle leggi nazionali. Tali paletti esistono realmente, anche perché la recente legislazione nazionale sta rendendo sempre più difficile le gestioni pubbliche dell’acqua, le gestioni in-house e sta promuovendo attivamente le aggregazioni dei gestori attorno alle grandi multiutility nazionali. La legislazione nazionale però non è sempre lineare nel definire vincoli e paletti. Ad esempio in merito alla dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali la legislazione nazionale prevede che essi non siano inferiori almeno a quella del territorio provinciale. Ma dà anche facoltà alle Regioni di poter individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio. Sarebbe proprio il caso del Friuli Venezia Giulia.
Il legislatore non vuole cogliere queste opportunità che potrebbe aprire scenari più consoni alle specificità regionali. Non solo, il legislatore nelle prime bozze elaborate aveva previsto scenari ancora più accentratori rispetto ai “paletti” nazionali, come ad esempio il gestore unico regionale. Su questo aspetto e sulle competenze relative agli affidamenti ci sono stati dei cambiamenti migliorativi, rispetto alle prime bozze, che però non cambiano nella sostanza l’impostazione normativa che resta basata sulla razionalità economica. Questa impostazione, nel nostro contesto regionale, genera una spoliazione delle conoscenze a livello locale e una deresponsabilizzazione delle comunità e delle istituzioni locali che al contrario, risultano strategiche e fondamentali nella gestione, nella salvaguardia della risorsa e nel patrimonio delle conoscenze.
Con questa impostazione si rinuncia a mettere in atto la specialità della nostra Regione prevista dal nostro statuto che nell’articolo 4 assegna potestà legislativa in materia di “acquedotti”, intendendo con ciò, oggi, il Servizio Idrico Integrato.
Altri, come la Provincia autonoma di Trento, hanno esercitato questa potestà legislativa adottando gestioni del Servizio Idrico Integrato più adatte alle diversità territoriali. La Provincia autonoma di Trento, in materia di acque, ha la stessa identica potestà legislativa del Friuli Venezia Giulia, addirittura definita con le stesse parole nei due statuti.
Riteniamo che problemi reali quali la strutturazione di Piani d’ambito reali e realizzabili, la disponibilità dei fondi per tali investimenti, le carenze in termini di conoscenze e di innovazione del Ciclo Idrico Integrato, la definizione di tariffe eque, la garanzia del diritto all’acqua e ai servizi igienico sanitari per tutti, non si risolvano con l’accentramento dei luoghi decisionali e l’accorpamento dei gestori.
Riteniamo che la Regione abbia rinunciato a svolgere un percorso di analisi, di studio, di confronto e partecipazione reale al fine di giungere all’individuazione dei modelli di gestione più adatti al nostro territorio che diano soluzione ai problemi citati. Modelli anche diversi da valutare e mettere a confronto.
Sarebbe stato un percorso probabilmente più lungo e articolato forse costellato da contenziosi con il Governo, ma avrebbe reso protagonisti e responsabilizzato i soggetti istituzionali e le comunità del territorio.
CeVI – Centro di Volontariato Internazionale (componente del Comitato referendario FVG Acqua Bene Comune).
Legambiente Friuli Venezia Giulia onlus
Cordicom FVG – Coordinamento dei Comitati Territoriali e dei Cittadini associati del FVG