Il Tagliamento, vista e pensieri dal Monte Cumieli
“Il fiume Tagliamento, l’antico Tiliaventus, grande costruttore, alternandosi all’azione glaciale quella eluviale ha modellato le montagne, scavato le valli e costruito le pianure, in particolare la grande pianura friulana. E continuando con questa azione instancabile, a senso unico da monte a valle, generalmente impercettibile, a volte violenta, ha scritto con modesto e spesso contraddittorio contributo degli esseri umani, tante “storie”, che ha racchiuso nel grande libro aperto che chiamiamo Territorio”.
Inizia così la prefazione di Giudo Masè all’interessantissima e originale guida al riconoscimento dei ciottoli del Tagliamento redatta da Federico Sgobino e prodotta dall’Ecomuseo delle Acque del gemonese.
Riprendiamo il tema “Tagliamento”, e percorriamo, con lo sguardo bambino, il grande fiume, osservandolo dall’alto e percorrendo un tratto a piedi e in treno.
Dalla cima del Cumieli (piccolo monte sopra Gemona del Friuli) si può osservare uno scorcio di questo libro aperto. L’alveo del fiume con i suoi ciottoli e ghiaie biancastre raccoglie “bracci d’acqua” che si muovono con andamento sinuoso, che si dividono e poi si incontrano di nuovo. Nei momenti di asciutta scorrono dove la vista cessa di ammirarli o quando le acque scorrono copiose, si perdono in un unico braccio che ricopre l’intero alveo che congiunge il “di qua” e il “di la” dall’aghe; gli argini in sponda sinistra hanno disegnato, tra Ospedaletto e Osoppo, il percorso del fiume, un tempo avvezzo a scendere nella piana prima di svoltare e riprendere l’attuale tracciato.
Acqua che va, acqua che ritorna. Dall’alto si nota la presa di Ospedaletto dove l’acqua viene prelevata e incanalata per bagnare i campi assettati del Medio Friuli, iniziando con la piana gemonese; a valle il torrente Leale raccoglie anche le acque dal Lât che, catturate a monte, asciugandolo, vengono turbinate per accendere lampadine e fabbriche e poi restituite al fiume all’altezza di Peonis.
Verso mezzogiorno, dietro la chiesa di Campolessi si intravede una macchia verde. È Molin del Bosso, il “deposito” d’acqua sotterranea che disseta centinaia di migliaia di cittadini e ospiti. Sempre acqua invisibile del Tagliamento, acqua di terra e un tempo lontano, dopo l’ultimo passaggio glaciale l’acqua del lago la sovrastava e ricopriva tutto l’anfiteatro morenico fino a Venzone. Resiste ancora Il lago di Cavazzo, residua testimonianza di ciò.
Sullo sfondo le colline moreniche chiudono l’orizzonte. Richiamano la forza del ghiacciaio che trasporta e depone. Ci ricorda, ahimè, lo scioglimento accelerato degli odierni ghiacciai. Torri d’acqua in disfacimento.
Dove la vista perde il fiume è in prossimità della stretta di Pinzano, tra il monte di Ragogna e il pedemonte, ambienti di straordinaria bellezza. È uno dei luoghi pensati per rallentare la corsa del fiume quando le acque minacciano gli abitanti in prossimità della foce. Un’altra grande opera? Un vecchio saggio mi ha detto: “Il fiume è una cosa viva, assecondiamolo. Solo così ridurremo i rischi. Liberiamo spazi dentro e fuori l’alveo per l’emergenza. Rimuoviamo costruzioni maldestre, curiamo i boschi e la terra”.
Scendendo dal Cumieli e camminando in alveo, dalla presa di Ospedaletto al Ponte ultracentenario di Braulins, si nota con stupore che non tutti i ciottoli sono chiari e alcuni, come canditi, apportano colori diversi che raccontano tante storie che risalgono nella notte dei tempi: lava basaltica, breccia vulcanica, porfido, selce nera, … Poi ci sono altri colori: le plastiche colorate e sfavillanti che si portano avanti nella loro corsa verso il mare.
Pesci boccheggiano. Quando in estate l’acqua scarseggia, il tratto di fiume tra la zona di prelievo (Ospedaletto) e di immissione (Peonis), diventa arido deserto e i pesci non guizzano più nell’acqua che manca. Nessuno li ha informati che sono “l’ultima ruota del carro” e che la razione di sopravvivenza è stata tolta.
Risalta in treno da Pinzano a Gemona. Pasolini descriveva così l’orizzonte che si apriva davanti: “Dopo Pinzano il treno disegnò un’enorme curva passando in volo sopra un Tagliamento allucinato. Quale solennità! Toccata l’altra sponda il convoglio si spinse contro vento – un vento furioso – nel cuore di una piccola Siberia verde-tenero, gettata ai piedi dei monti. Io tremavo presso il finestrino: miei occhi piantati su Osoppo contemplavano l’accordo finale della pianura e l’attacco – il potente improvviso-dei Monti. Beethoven, ma eseguito sul tam tam dei vecchi negri che io nutro nel mio impenitente cuore di mozzo”.
Risalgo di nuovo sul Cumieli e, seduto ai margini del pianoro sommitale, lisciato a suo tempo dal ghiacciaio, penso ai servizi che il fiume, in questo lembo di territorio, offre. Acqua da bere a migliaia di persone, acqua per irrigare i campi assestati della pianura friulana, acqua per produrre energia, acqua per attività ricreative e turistiche, acqua per la vita degli organismi acquatici, …
Il pensiero prende poi la forma dei problemi che un uso sconsiderato della risorsa genera, senza una visione che tenga tutto insieme e provveda al futuro. Penso al clima che cambia, alle perduranti future siccità estive, ai conflitti sull’uso quando la risorsa si fa scarsa o quando abbonda.
Poi la bellezza del paesaggio prende il sopravvento e tacita l’ansia.
Il desiderio di bellezza salverà il mondo?
Sandro Cargnelutti, socio di Legambiente