Bosc di Sot: i lavori in corso seria minaccia alla biodiversità dell’area umida
Proseguono velocemente i lavori ad opera della nuova proprietà all’interno del sito dell’ex-cava di argilla in località Bosc di Sot, lavori che stanno modificando forme e assetto del sito, evolutosi negli ultimi anni in un’area umida d’acqua dolce di elevato pregio naturalistico. L’ex comprensorio estrattivo ha infatti assunto nel tempo valenza a livello nazionale, tanto da essere stato inserito nel 2021 fra le Aree di Rilevanza Erpetologica Nazionale per la sua importanza in termini di presenza e abbondanza di popolazioni di anfibi e rettili protetti a vari livelli, cui si aggiungono le presenze di avifauna migratrice o nidificante, di cui sono state finora contate 34 specie.
Tuttavia, le azioni intraprese dalla nuova proprietà nel corso dell’ultimo anno difficilmente si accordano con le dichiarazioni, rese dalla stessa, di voler “preservare il sito naturale realizzandovi qualcosa di simile all’Isola della Cona”. Quando si parla dell’Isola della Cona, è bene ricordare che essa è una Riserva Naturale, Sito di Importanza Comunitaria e Zona di Protezione Speciale, frutto di un progetto di ripristino di ecosistemi di acqua dolce più che trentennale e di rilevanza internazionale, basato sulle migliori conoscenze disponibili, e che ha portato al restauro di 200 ettari complessivi e alla presenza, tra le altre, di 300 specie di uccelli fra migratori e stanziali.
Invece, nel sito delle ex-fornaci i lavori di “ripristino” sono iniziati col taglio e la rimozione quasi totale della vegetazione arbustiva delle sponde del più vecchio “laghetto delle fornaci”, retrostante il vecchio complesso industriale, che hanno portato alla scomparsa degli habitat della flora e della fauna che nel sito avevano trovato le condizioni ideali.
Problematiche, da questo punto di vista, anche le numerose azioni, almeno quelle visibili dall’esterno, intraprese intorno ai laghi di nuova formazione: taglio di decine di alberature morte in piedi all’interno del lago principale, che costituivano posatoi e rifugi per aironi e molte specie di anatre; rimodellamento delle sponde del lago principale ottenuta tramite riempimento e livellamento di “insenature”, piccoli stagni e fossi di scolo, contesti fondamentali per la riproduzione di anfibi ed insetti, alcuni dei quali in forte diminuzione e soggetti a protezione rigorosa; rimozione totale di quasi tutta la vegetazione sia viva che morta in piedi lungo le sponde stesse; sbancamento e livellamento dell’intorno del lago principale, con eliminazione delle piccole sorgenti perenni dove si riproduceva nel periodo primaverile l’Ululone dal ventre giallo, un anfibio richiedente protezione rigorosa ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”. Un tipo di “gestione” impattante e persino distruttiva, che ha forse a che vedere con discutibili canoni estetici, con esigenze di “razionalizzazione” degli spazi o all’utilizzo e movimento di macchinari pesanti ma nulla ha a che fare con la conservazione degli habitat esistenti o con la presunta volontà della nuova proprietà di “garantire agli animali le stesse condizioni che si sono create in questi anni”.
Come abbiamo già sostenuto in precedenza, solo una approfondita, ma soprattutto seria, conoscenza preliminare degli elementi presenti nel sito può permettere di parlare di “mantenimento della biodiversità esistente” e può guidare azioni volte alla sua conservazione ed eventuale miglioramento. Viceversa, la “riqualificazione ambientale” di tipo meramente ingegneristico che sta emergendo, volta a dare forma ad un “parco-giardino” asservito alle esigenze di una non ben definita “fruizione turistica”, non può coniugarsi alla tutela dei caratteri di pregio naturalistico che stavano evolvendo nel sito e concreto si fa il rischio di un loro deterioramento e perdita nel lungo periodo.