Giro d’Italia sul Lussari: preoccupazioni per l’impatto e per i lavori eseguiti
Giro d’Italia sul Lussari: preoccupazioni per l’impatto e per i lavori eseguiti
Le Associazioni ambientaliste scrivono al Prefetto e alla Soprintendenza
Il Monte Santo di Lussari, con la chiesetta eretta per la prima volta nel 1360 ed il piccolo borgo sottostante, sorto sul costone roccioso per dare ospitalità ai pellegrini che facevano visita al Santuario, rappresenta un esempio unico nelle Alpi Orientali e “costituisce un complesso di non comune valore estetico e tradizionale per la spontanea concordanza e fusione fra l’opera della natura e quella del lavoro umano”. Oltre a rappresentare un importante riferimento simbolico per le tre culture – latina, slava e tedesca – che qui confluiscono, fin dal 1956 esso è stato riconosciuto come ambito di “notevole interesse pubblico”, grazie ad un Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione.
Come è noto, sabato prossimo, 27 maggio, condizioni meteo permettendo, è in programma l’attesa penultima tappa dell’edizione 2023 del Giro d’Italia: la dura crono-scalata che da Tarvisio raggiungerà, appunto, la cima del Monte Lussari. Il progetto di portare la Carovana Rosa, con tutto il suo contorno commerciale, in un sito normalmente raggiungibile solo a piedi, in funivia, con le pelli di foca sotto gli sci e, già da tempo, con le mountain bike è stato definito fin da subito una “pazza idea” dallo stesso direttore della corsa Mario Vegni e ha sollevato sconcerto e preoccupazione negli ambienti delle associazioni ambientaliste e tra gli appassionati della montagna.
Se lo scopo dell’evento, fortemente voluto e sostenuto finanziariamente dalla Regione Friuli Venezia Giulia, è quello di diffondere in mondovisione le bellezze della località – si obiettava – non c’è alcun bisogno di spendere ingenti risorse per sistemare la vecchia strada e farci arrivare i ciclisti e le migliaia di appassionati al seguito, è sufficiente, come si fa in occasione del Tour de France, mandare in onda delle vedute panoramiche riprese dall’elicottero. Dal 2019 sono così partite, attraverso petizioni, lettere e sopralluoghi, varie richieste di chiarimento e tentativi di limitare l’impatto della manifestazione, sistematicamente snobbati dagli organizzatori e dalle autorità locali. Adesso, però, ci sarebbero delle importanti novità ed i presidenti regionali di Italia Nostra, Legambiente e WWF hanno deciso di scrivere al Prefetto di Udine e alla Soprintendenza. Oltre ai forti dubbi sull’opportunità di utilizzare risorse della Protezione Civile e addirittura del Fondo Vaia (dove non sono caduti alberi!) per cementificare i circa 8 chilometri della strada che sale dalla Val Saisera, tre sono, in sostanza, gli aspetti critici sui quali viene richiesto un accertamento.
Il primo punto riguarda la gestione dell’evento in spazi oltremodo limitati e quasi privi di aree pianeggianti. Tremila sono i biglietti della funivia venduti agli appassionati, a questo numero vanno aggiunti i 700 addetti al servizio d’ordine e all’organizzazione e tutti coloro che saliranno a piedi od in mountain-bike. Il Comune di Tarvisio ha predisposto una ventina di parcheggi per complessivi dodicimila posti auto. Dove si sistemerà tutta questa gente? Dove si metteranno e come si porteranno i necessari gabinetti chimici, il palco, eventuali tribune, l’assistenza sanitaria, i servizi per i ciclisti, le transenne con gli striscioni pubblicitari? E quale immagine daranno dell’incantato Borgo del Lussari che si vuol pubblicizzare?
Un altro problema è quello della sicurezza e della regolarità della corsa. La tappa dovrebbe svolgersi con qualsiasi condizione atmosferica, ma la cementificazione del fondo stradale e l’aver coperto oltre una novantina di canalette di scarico delle acque meteoriche ed eliminato alcuni guadi, al solo scopo di agevolare il passaggio delle sofisticate biciclette dei campioni, rischia, in caso di pioggia, di far defluire lungo l’itinerario una grande quantità d’acqua, unita ai detriti scaricati dai ripidi versanti: un ostacolo insormontabile per i poveri ciclisti, reduci da tre settimane di gara. Un fondo stradale appena bagnato potrebbe, però, essere insidioso per la quarantina di motociclette che, dopo aver seguito i concorrenti suddivisi in scaglioni, dovranno percorrere per tre o quattro volte anche in discesa una strada priva di barriere e con pendenze che arrivano al 22%.
Infine, l’aspetto forse più delicato. Nella esasperata ricerca di “sensazionalismo” e di toccare luoghi inediti, pare che i fautori della tappa si siano dimenticati di osservare le disposizioni del Piano Paesaggistico Regionale, che vieta di asfaltare ed allargare strade nell’area vincolata e quelle della stessa Soprintendenza che avrebbe autorizzato solo la pavimentazione con un materiale ecologico e drenante, di cui sembra, non ci sia traccia! Noi pensiamo, in conclusione, che l’uso della bicicletta, anche da professionisti, sia amica dell’ambiente e che la saggezza abiti il limite, che accende il desiderio di preservare ciò che ci è caro.
WWF FVG, Legambiente FVG, Italia Nostra