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Ritorno al nucleare e nuove trivelle? No grazie!

Rimaniamo stupiti delle affermazioni con cui l’assessore Bini, nell’intervista rilasciata al MV, rilancia il nucleare in Italia e le trivelle dell’adriatico. Scontate invece le stesse affermazioni da parte di confindustria maggiormente ancorata alle ricette del secolo scorso.

Oggi le tecnologie che usano le fonti rinnovabili già a disposizione sul mercato e sono in grado di produrre elettricità a costi di gran lunga inferiori senza emettere anidride carbonica, né produrre scorie radioattive o aumentare i rischi di incidenti catastrofici.

Sul nucleare ricordiamo quello che ha detto l’amministratore di ENEL Starace “Il nucleare, improbabile per il nostro Paese” o il premio Nobel Giorgio Parisi «il nucleare è più vecchio dei transistor» o Nikolas Valerius, direttore tecnico della tedesca RWE Power Nuclear che il nucleare è economicamente morto per i costi, i tempi di realizzazione incompatibili con la crisi climatica e l’irrisolto problema delle scorie. Secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l’eolico 4, con nuovi impianti nucleari 16,3. Oggi le centrali nucleari vengono costruite solo perché i governi le finanziano col denaro pubblico (nessun privato correrebbe i rischi) e si impegnano a coprire la differenza del costo di produzione, sempre con denaro pubblico, per mantenere in vita l’industria nucleare (dove c’è), e sempre rinviando e scaricando sulle generazioni future i costi di dismissione, smaltimento e deposito delle scorie a lungo termine. 

Non dimentichiamoci che l’Italia non sa ancora dove smaltire gli oltre 30.000 mc di scorie, lascito importante delle centrali nucleari chiuse oltre 30 anni fa, da mettere in sicurezza per migliaia di anni. Parliamo di ripresa del nucleare di 4^ generazione, come l’araba fenice da più di 20 anni mentre la Germania ha deciso di chiudere l’ultima centrale nucleare a fine 2022. 

Dovremmo invece preoccuparci della proposta di allungamento al 2043 della vita della Centrale di Krsko (operante dal 1983) e della volontà di costruire un secondo reattore nella stessa area, sopra due faglie attive. La Regione dovrebbe intervenire nella procedura di VIA transnazionale necessaria al prolungamento fino al 2043: la Giunta si è già attivata? Sul caso condividiamo la preoccupazione dell’assessore all’Ambiente Scoccimarro.

Nuove trivellazioni in adriatico? Forse è sufficiente  ricordare che le riserve italiane di idrocarburi sono davvero poca cosa: è stato calcolato che tutto il petrolio, una volta estratto, basterebbe a soddisfare il fabbisogno energetico nazionale di due mesi mentre il gas sarebbe sufficiente sì e no per un anno. E poi sono un driver per la transizione energetica? E l’impatto sui fenomeni di subsidenza che unitamente all’innalzamento dei mari rappresenta un pericolo per le nostre coste? 

Nucleare e combustibili fossili rappresentano, anche culturalmente, il passato, e tutte le chiacchiere spese per magnificarne il ruolo sono fumo negli occhi e sottrazione di attenzione ed impegno nei confronti della improrogabile riconversione ecologica delle produzioni di energia che si avvalgono di fonti rinnovabili, sistemi di accumulo, reti intelligenti, stringenti politiche di efficienza e risparmio energetico, comunità energetiche e tanta economia circolare.

È questa la transizione energetica che la regione immagina per raggiungere la neutralità carbonica con 5 anni di anticipo rispetto all’Europa? Spero che siano solo pensieri in libertà dell’assessore Bini, chiosa Sandro Cargnelutti, presidente regionale di Legambiente FVG. 

Nello spirito di collaborazione che anima l’agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, Legambiente FVG ha avanzato alla Regione diverse proposte sui temi della transizione energetica, quali ad esempio una strategia per lo sviluppo del Fotovoltaico in FVG e proposte sulla riconversione della centrale di Monfalcone. Ma ad oggi nessuna risposta.

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