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La campagna di Legambiente “C’è Puzza di Gas” sui rischi legati alle dispersioni di metano fa la sua quinta tappa in Friuli Venezia Giulia

La campagna di Legambiente “C’è Puzza di Gas” sui rischi legati alle dispersioni di metano fa la sua quinta tappa in Friuli Venezia Giulia
A Monfalcone (GO) flash mob presso la Centrale A2A e Convegno presso il Palazzetto Veneto per dire “no” alla riconversione a gas della Centrale, accendere i riflettori sulla pericolosità della dipendenza da fonti fossili e chiedere norme più stringenti sulle emissioni di metano nel settore energetico

Legambiente: “No alle fonti fossili in Friuli Venezia Giulia e alla realizzazione di nuove infrastrutture come la riconversione a gas della Centrale A2A di Monfalcone. Sì alle rinnovabili e ad un futuro energetico davvero sostenibile”
CARTELLA STAMPA

No alle fonti fossili in Friuli-Venezia Giulia, no alla realizzazione di nuove infrastrutture come la riconversione a gas della Centrale A2A di Monfalcone. Sì alle rinnovabili e ad un futuro energetico davvero sostenibile”. È questo il messaggio che Legambiente lancia oggi a Monfalcone (GO), in Friuli Venezia Giulia, in occasione della quinta tappa della seconda edizione di “C’è Puzza di Gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, la campagna d’informazione e sensibilizzazione sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile promossa con il supporto di Clean Air Task Force (CATF). La giornata è iniziata con un flash mob presso la Centrale A2A per poi proseguire con un Convegno dal titolo “C’è puzza di gas: Centrale A2A, ancora un futuro fossile per Monfalcone” presso il Palazzetto Veneto, organizzata in collaborazione con l’Associazione ambientalista “Eugenio Rosmann” e l’associazione “Comitato di Rione ENEL”. L’obiettivo della tappa è di denunciare la pericolosa dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili, accendendo i riflettori sul ruolo che queste fonti, inquinanti e climalteranti, hanno in Friuli Venezia Giulia. La Regione è caratterizzata da una massiccia presenza di infrastrutture a fonti fossili e sulla quale incombono nuovi progetti, come la riconversione a gas della Centrale di Monfalcone, che condannano il territorio ad un utilizzo delle fonti fossili per la produzione di elettricità almeno fino al 2050. Altro obiettivo è quello di sensibilizzare sulle emissioni dirette di metano in atmosfera che, se non regolamentate da normative nazionali stringenti, rischiano di non far raggiungere gli obiettivi climatici al nostro Paese.

Il convegno ha messo in evidenza le contraddizioni di una riconversione basata ancora sulle fonti fossili rispetto a quella che si sta prospettando nella centrale ENEL di Brindisi Sud dove invece con progetti innovativi si sta andando in una direzione basata sugli obiettivi di una rapida decarbonizzazione.

Le fonti fossili in Friuli Venezia Giulia. Nella Regione il comparto termoelettrico è il principale settore nel quale si sta assistendo ad un aumento del radicamento delle fonti fossili. Infatti, a fronte di livelli di produzione di energia elettrica relativamente bassi rispetto alla media nazionale – con solamente 8,99 TWh prodotti nel 2022 e una potenza installata totale di 2,9 GW – sono ben 4 i progetti presentati al MASE su centrali termoelettriche che si sono aggiudicati aste del Capacity Market per poter realizzare interventi di revamping e riconversioni a gas fossile. Le Centrali coinvolte sono quella di Gorizia, con un progetto di riconversione da oli combustibili a gas; la centrale di Torviscosa e Servola con due progetti di revamping; e quella di Monfalcone con una riconversione da carbone a gas e la realizzazione di un nuovo impianto con 860 MW di potenza già autorizzato dal MASE. A queste si aggiungono i 4 impianti a gas di cogenerazione che dovrebbero essere realizzati sul tracciato dell’oleodotto transalpino per alimentare le pompe che “spingono” il greggio all’interno della condotta.

“Tutte infrastrutture anacronistiche – sottolinea Michele Tonzar, Presidente del Circolo di Legambiente Monfalcone- se si considera che per affrontare la crisi climatica è necessario decarbonizzare il sistema energetico in Italia e in Europa entro il 2035. Una nuova centrale a gas ha infatti una vita media che può superare i 25 anni, tempi spesso in parte necessari a ripagare i costi di investimenti. La realizzazione di nuove centrali oggi, pertanto, rischia di vincolarci ad un utilizzo delle fonti fossili per la produzione di elettricità almeno fino al 2050. Una tendenza purtroppo già in essere in Friuli se pensiamo che tra il 2021 e il 2022 il comparto termoelettrico ha consumato il 30% in più di gas fossile, passando da 0,6 a 0,9 miliardi di metri cubi”.

In occasione della tappa Legambiente è tornata anche sul tema del regolamento europeo sulle emissioni di metano. “Sebbene in Europa il nuovo regolamento in tema di emissioni sia alle sue battute finali e rappresenti un importante passo in avanti – dichiara Katiuscia Eroe, Responsabile Energia di Legambientenon è sufficientemente ambizioso se consideriamo la gravità della crisi climatica e le potenzialità di mitigazione legate al contenimento delle emissioni di metano nella filiera delle fossili (inserito dall’IPCC come terzo strumento per efficacia e costi, dopo solare ed eolico, nel raggiungimento degli obiettivi climatici). Urgente l’introduzione di standard più ambiziosi in grado di intervenire sulle infrastrutture esistenti e quelle che il Governo ha deciso di realizzare, candidando questo Paese a diventare l’hub del gas per l’Europa, ma anche su quelle legate alle importazioni che condanneranno l’Italia ad una maggiore dipendenza dal gas fossile. Per questo chiediamo che l’Italia svolga un ruolo importante, non solo recependo in tempi brevi il nuovo Regolamento, ma anche inserendo normative e obiettivi ambiziosi di tutela del clima e delle bollette dei cittadini”.

Regolamento europeo sulle emissioni di metano: luci e ombre. Il Regolamento è stato votato lo scorso aprile 2024 dal Parlamento Europeo e passerà per il Consiglio per l’approvazione finale. Per il Cigno Verde, però, nonostante sia un importante passo in avanti, prevede delle tempistiche troppo dilatate e non interviene in maniera sufficientemente ambiziosa. Prima del 2030 non verranno introdotti standard sulle importazioni di gas. Standard che se applicati immediatamente potrebbero garantire un risparmio di 90 miliardi di metri cubi di gas, pari a 54 miliardi di euro l’anno, evitando il 30% delle emissioni globali dal settore del gas e del petrolio. L’introduzione di questi standard dopo il 2030 è in pieno conflitto con gli obiettivi fissati nell’ambito della Global Methane Pledge, oltre che un’enorme occasione persa in termini di risparmio di risorse. A queste si aggiunge un diffuso ricorso alle eccezioni e l’intenzione di scaricare i costi dell’implementazione del regolamento sulla cittadinanza.

 

Qui il Comunicato Stampa in PDF: CS Monfalcone C’è Puzza di Gas

Per maggiori informazioni: monfalcone@legambientefvg.it | Cell: 3283648063