Per una gestione sostenibile dei bacini idrografici e il rinnovo delle concessioni idroelettriche in Friuli V.G.
Nel novecento, in montagna, si sono verificati due importanti fenomeni:
- Il progressivo spopolamento dovuto a cambiamenti sociali ed economici. Le valli del Cellina e del Meduna si sono svuotate della presenza dell’uomo e quindi di tutte quelle attività che garantivano un presidio e la manutenzione del territorio
- Le modifiche al territorio con la realizzazione di opere che hanno comportato uno sfruttamento delle risorse della montagna e in particolare dell’acqua senza una valutazione attenta dell’impatto che queste avrebbero avuto nel tempo. In realtà questo non è avvenuto solo in montagna ma anche in pianura dove l’incanalamento delle acque e l’occupazione urbanistica di spazi dedicati all’espansione naturale dei fiumi ha creato grandi problemi nel caso di forti precipitazioni. D’altro canto anche l’utilizzo dell’acqua per scopi civili, industriali e irrigui non è sempre attento e razionale con grossi sprechi (vedi irrigazione delle colture a pioggia, piantumazioni intensive di mais e soia in zone aride e sassose, ecc…)
Se consideriamo il Cellina c’è una situazione generalizzata di degrado dovuta a tutta una serie di interventi di artificializzazione che creano grossi problemi a monte e anche a valle. La diga di Barcis costituisce un “tappo” al materiale solido trasportato dall’acqua che ha riempito oltre la metà dell’invaso mentre a valle la diga di Ravedis rappresenta un “tappo” ermetico anche per l’acqua che dovrebbe alimentare le risorgive a valle.
Le due dighe sono state naturalmente costruite per l’uso civile, industriale e agricolo dell’acqua, per la produzione di energia elettrica e per il contenimento delle piene. Tutti propositi nobili se realizzati nel rispetto delle funzioni naturali del corso d’acqua essenziali per l’equilibrio naturale e quindi il trasporto dei sedimenti, la ricarica delle falde e la capacità di auto depurazione.
La realtà è invece ben diversa, il fiume rappresenta unicamente una risorsa da sfruttare fino all’ultima goccia: si costruiscono le centrali idroelettriche a valle delle risorgive, non esiste il rilascio del minimo deflusso vitale (obbligatorio con il nuovo Piano Regionale di Tutela delle Acque) e l’acqua viene sprecata con l’irrigazione a pioggia di mais e soia. A valle si è costruito di tutto e di più dove non si doveva e a monte si costruiscono le dighe per trattenere l’acqua quando piove troppo.
D’altro canto il prelievo continuo di materiale inerte a valle, associato al mancato riporto naturale da monte a causa delle dighe, sta determinando un processo irreversibile di alterazione idraulica e paesaggistica ambientale.
È evidente che c’è l’esigenza di invertire la tendenza che punti con forza a una gestione più sostenibile dei bacini idrografici e alla rinaturalizzazione e riqualificazione dei corpi idrici. Quindi avviare un insieme di azioni e tecniche volte a portare il corso d’acqua e il territorio connesso (sistema fluviale) in uno stato più naturale possibile in grado di espletare le sue funzioni vitali e nello stesso tempo raggiungere gli obiettivi economico-sociali (rischio idraulico. Utilizzo delle risorse idriche per l’uso civile, irriguo e la produzione di energia elettrica).
Per questo non è più possibile redigere solo un piano, renderlo noto e cercare di minimizzare le reazioni. Serve un approccio culturale diverso di tipo multidisciplinare che, tramite un percorso partecipato, metta a confronto soggetti tecnici (Genio civile, gestore idroelettrico, Consorzio di Bonifica, progettisti, ecc…) con i soggetti preposti alla pianificazione territoriale (Regione, Autorità di bacino, Comuni, ecc…), le attività economiche del territorio, le comunità locali e di tutti i portatori d’interesse.
Si tratta in sostanza di elaborare e attuare un vero e proprio “Contratto di fiume” uno strumento innovativo previsto anche dalla legislazione vigente.
Ciò è particolarmente pressante per il fiume Cellina dove in questi anni si è aggiunta una fruizione turistica, limitata e inadeguata, che spesso contrasta con le funzioni idrauliche delle opere realizzate e dove sono anche presenti opere idrauliche dismesse di grande valore storico-archeologico industriale.
È in questo contesto che si inseriscono le concessioni per l’uso idroelettrico e la disciplina con cui la regione dovrebbe definire modalità e procedure per l’assegnazione delle nuove concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico (per il fiume Cellina scadranno nel 2029).
È evidente, dal nostro punto di vista, che le regole per l’assegnazione delle concessioni dovranno tener conto assolutamente del contesto sopradescritto e dovranno definire con molta chiarezza quali sono i compiti e le responsabilità del gestore idroelettrico anche e soprattutto in merito al miglioramento e al risanamento ambientale. Manutenzione dei torrenti a monte, sghiaiamento e/o progressiva rinaturalizzazione del lago di Barcis e realizzazione delle opere per l’adeguamento alle portate di piena millenaria, minimo deflusso vitale, ecc… sono problematiche che non possono essere disgiunte dalla Concessione d’acqua per l’uso idroelettrico.
In questo senso appare auspicabile una gestione unica e pubblica del sistema fluviale che dovrebbe fare riferimento alla Regione. Tante sono le funzioni a cui adempiere, spesso anche in contrasto tra loro (irriguo, turistico, contenimento delle piene, …) che indicano la necessità di una regia unica e pubblica.
L’acqua è pubblica e va gestita nell’interesse della comunità e nel rispetto dell’ambiente e per questo sarebbe auspicabile, anche per l’idroelettrico, la creazione di una società energetica regionale totalmente o a maggioranza pubblica.
Circolo Legambiente Prealpi Carniche